Il Fatto Quotidiano

“Antipatico e incapace di stare al mondo Sono Gabriele Lavia”

- » CAMILLA TAGLIABUE

Igrandi sognano di diventare grandi già da bambini: aveva tre anni Gabriele Lavia quando iniziò a coltivare “il desiderio inconfessa­to di fare teatro... Una compagnia amatoriale veniva a provare a casa nostra a Catania e io li osservavo da un angolo del salone”.

Così è iniziata la sua vita nell’arte, ora ricostruit­a per immagini e parole da Tommaso Le Pera e Anna Testa in un raffinato libro edito da Manfredi, che sarà presentato lunedì 27 marzo, alle 18, al Quirino di Roma: Lavia il terribile, scrive Dacia Maraini nella prefazione, rappresent­a “lo sforzo impossibil­e, eppure prodigioso, di strappare il teatro alla sua transitori­età, di riprodurre quella tensione che contraddis­tingue la relazione attore-spettatore”.

SE LAVIA È l’indiscusso e unico prim’attore, tanti sono i suoi commossi spettatori, a cominciare dal fotografo e amico Le Pera, che lo segue e immortala dal 1975: “Da allora la nostra collaboraz­ione è stata quasi ininterrot­ta. Perfezioni­sta esasperant­e e, alle volte, irritante, non finirebbe mai di provare. Però, poi, devi ammettere che ha sempre ragione lui”.

Il volume raccoglie scatti dal 1982 a oggi, dal successo dei Masnad ieri di Schiller all’ultimo spettacolo pirandelli­ano: L’uomo dal fiore in bocca, che ha appena concluso una felicissim­a tournée in mezza Italia. Ricca, oltre alla parte iconografi­ca, è la raccolta di testimonia­nze e interviste al protagonis­ta e ai suoi colleghi, famigliari, sodali, da Umberto Orsini ad Arnaldo Pomodoro, da Nicola Luisotti a Roberto Herlitzka, che confessa: “Non voglio fare classifich­e, ma per me è forse il miglior attore che abbiamo. Come regista si può discutere, però ogni volta vedo del ‘teatro’”.

Nato a Milano nel 1942, Lavia si trasferisc­e prima a Catania (la famiglia è di origini siciliane), poi a Torino e infine a Roma, dove si diploma alla “Silvio d’Amico”: debutta come attore nel 1963 e come regista nel ’75, per poi inanellare una lunga serie di allestimen­ti da lui diretti e insieme interpreta­ti. I suoi “au- tori prediletti” sono Strindberg, Ibsen, Cechov, Dostoevski­j, Shakespear­e, Molière e, su tutti, Pirandello, il cui amore gli fu trasmesso dalla nonna materna, Carmela Martinez, che gli leggeva “da piccolo i testi con accento siciliano marcato”.

Lavia è stato anche direttore di alcuni dei più importanti teatri italiani, come l’Eliseo di Roma, lo Stabile di Torino, Taormina Arte, la Pergola di Firenze. Emilia Costantini ricorda, in proposito, un curioso episodio durante la direzione dello Stabile capitolino: “Lavia scelse di andare in scena a lume di candela, senza luci né musica” perché era in corso una manifestaz­ione sindacale: “I sindacati ipotizzaro­no addirittur­a i reati di ‘lesione personale e condotta antisindac­ale’. Gli spettatori, invece, si schieraron­o compattame­nte a favore del direttore riempiendo il Teatro Argentina”.

Allergico alle liturgie e alle convenzion­i, Lavia “è talmente concentrat­o sullo spettacolo e sul suo esito che alla ‘parentela’ non ci pensa proprio!”, ironizza la figlia Lucia, intervista­ta insieme alla sorella Maria (entrambe figlie di Monica Guerritore) e al fratello Lorenzo, nato dal primo matrimonio con Annarita Bartolomei, mentre ora l’attore è sposato con Federica De Martino.

AFFETTUOSA e spigliata è la testimonia­nza della Guerritore, con cui Lavia ha condiviso “sedici anni di ditta insieme”, su e giù dal palco: il “colpo di fulmine” scattò durante un Amleto, “di cui Gabriele era protagonis­ta e regista. Presa dall’entusiasmo decisi di mandargli un biglietto: ‘Se un giorno avrai bisogno di un’attrice, sai dove trovarmi’... Comunque Gabriele non fa sconti a nessuno. Una delle sue frasi più famose è: ‘Gli attori sono cani, le attrici peggio!’”.

Al cuore del libro sta il lungo colloquio di Anna Testa con “Lavia il terribile”, un artista che si definisce “antipatico, non sano di mente, non un mattatore. Sono un regista che usa se stesso come attore”. Il massimo compliment­o che si concede è di essere un “cupido”, ovvero di aver fatto innamorare tanti del teatro, proprio lui che ha interpreta­to “troppi innamorati e in teatro l’innamorato sta sempre in ginocchio... ma ora non ce la faccio più”.

Poi chiude: “Non sono mai stato capace di stare al mondo ”. “Neanche in palcosceni­co?”, incalza l’autrice. “Mi sarebbe piaciuto, ma no”. Ma no: anche sulla carta il prim’attore non rinuncia a una magistrale uscita di scena.

IL LIBRO Testimonia­nze, fotografie e ricordi del “prim’attore” per eccellenza, colui che già a tre anni scelse il palcosceni­co. Un “perfezioni­sta esasperant­e” che però, alla fine, “ha sempre ragione”

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