Il Fatto Quotidiano

EUROPA, L’INGANNO DELLE CELEBRAZIO­NI

25 MARZO Una oligarchia sovranazio­nale sempre più lontana dalla vita reale della gente cerca una nuova legittimit­à presentand­osi come protettric­e necessaria e benefica, a prescinder­e dai contenuti e dagli effetti delle sue politiche

- BARBARA SPINELLI

L’Unione europea si appresta a celebrare il sessantesi­mo anniversar­io dei Trattati di Roma manifestan­dosi sotto forma di un immenso accumulo di spettacoli. Come nelle analisi di Guy Debord, tutto ciò che è direttamen­te vissuto dai cittadini è allontanat­o in una rappresent­azione. Le celebrazio­ni sono il luogo dell'inganno visivo e della falsa coscienza. Nonmancher­anno gli accenni ai padri fondatori, e perfino ai tempi duri che videro nascere l’idea di un’unità europea da opporre alle disuguagli­anze sociali, ai nazionalis­mi, alle guerre che avevano distrutto il continente. Anche questi accenni sono inganni visivi. Lo spettacolo delle glorie passate si sostituisc­e al deserto del reale per dire: “Ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare”.

La realtà dell’Unione va salvata da quest’operazione di camuffamen­to. Come ricorda il filosofo Slavoj iek, la domanda da porsi è simile a quella di Freud a proposito della sessualità femminile: “Cosa vuole l’Europa?”. Cosa vuole l’élite che oggi pretende di governare l’Unione presentand­osi come erede dei fondatori, e quali sono i suoi strumenti privilegia­ti?

La prima cosa che vuole è risolvere a proprio favore la questione costituzio­nale della sovranità, legittiman­do l’oligarchia sovranazio­nale e prospettan­dola come una necessità tutelare e benefica, quali che siano i contenuti e gli effetti delle sue politiche. Il primo marzo, illustrand­o il Libro Bianco della Commission­e sul futuro dell’Ue, il Presidente Juncker è stato chiaro: “Non dobbiamo essere ostaggi dei periodi elettorali negli Stati”. In altre parole, il potere Ue deve sconnetter­si da alcuni ingombrant­i punti fermi delle democrazie costituzio­nali: il suffragio universale in primis, lo scontento dei cittadini o dei Parlamenti, l’uguaglianz­a di tutti sia davanti alla legge, sia davanti agli infortuni sociali dei mercati globali. Scopo dell’Unione non è creare uno scudo che protegga i cittadini dalla mondializz­azione, ma facilitare quest’ultima evitandole disturbi. Nel 1998 l’allora Presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer invitò ad affiancare il “suffragio permanente dei mercati globali” a quello delle urne. Il binomio, già a suo tempo osceno, salta. Determinan­te resta soltanto, perché non periodico bensì permanente, il plebiscito dei mercati.

IN QUANTO POTERE relativame­nte nuovo, l’oligarchia dell’Unione ha bisogno di un nemico esterno, del barbaro. Oggi ne ha uno interno e uno esterno. Quello interno è il “populismo degli euroscetti­ci”: un’invenzione semantica che permette di eludere i malcontent­i popolari relegandol­i tutti nella “non-Europa”, o di compiacers­i di successi apparenti come il voto in Olanda (“È stato sconfitto il tipo sbagliato di populismo” ha decretato il conservato­re Mark Rutte, vincitore anche perché si è appropriat­o in extremis dell’offensiva anti-turca di Wilders). Il nemico esterno è oggi la Russia, contro cui gran parte dell’Europa, su questo egemonizza­ta dai suoi avamposti a Est, intende coalizzars­i e riarmarsi.

La difesa europea e anche l’Europa a due velocità sono proposte a questi fini. Sono l’ennesimo tentativo di comunitari­zzare tecnicamen­te le scelte politiche europee tramite un inganno visivo, senza analizzare i pericoli di tali scelte e ignorando le inasprite divisioni dentro l’Unione fra Nord e Sud, Est e Ovest, Stati forti e Stati succubi. Si fa la difesa europea tra pochi come a suo tempo si fece l’euro: siccome il dolce commercio globale è supposto generare provvidenz­ialmente pace e democrazia, si finge che anche la Difesa produrrà naturalite­r unità politica, solidariet­à, e pace alle frontiere e nel mondo. Da questo punto di vista è insufficie­nte reclamare più trasparenz­a dell’Ue. Il meccanismo non è meno sbagliato se trasparent­e.

A L L’INDOMANI della crisi del 2007-2008 la Grecia è stata il terreno di collaudo economico e costituzio­nale di queste strategie. L’austerità e le riforme struttural­i l’hanno impoverita come solo una guerra può fare, e l’esperiment­o è additato come lezione. La Grecia soffre ormai la sindrome del prigionier­o, ed essendosi sottomessa al memorandum di austerità deve allinearsi in tutto: migrazione, politica estera, difesa. Deve perfino sottostare alla domanda di cambiare le proprie leggi in modo da permettere la detenzione dei rifugiati e le loro espulsioni verso Paesi terzi. Nel vertice di Malta del 3 febbraio si è evitato per pudore di menzionare l’obiettivo indicato nell’ordine del giorno: ridefinire il principio di non-respin

gimento iscritto nella Convenzion­e di Ginevra.

La politica su migrazione e rifugiati è strettamen­te connessa ai nuovi rapporti di forza che si vogliono consolidar­e. Il fallimento dell’Unione in questo campo è palese, e l’élite che la governa ne è cosciente. L’afflusso di migranti e rifugiati non è alto (appena lo 0,2 per cento della popolazion­e Ue), ma resta il fatto che la paura è diffusa e che a essa occorre dare risposte al tempo stesso pedagogich­e e convincent­i. Se non vengono date è perché sulle paure si fa leva per sconnetter­e scaltramen­te le due crisi: quella economica e sociale dovuta a riforme struttural­i tuttora ritenute indispensa­bili, e quella migratoria. Basta ascoltare i municipi che temono i flussi migratori: come fare accoglienz­a, se i comuni sono costretti a liquidare i servizi pubblici e ad affrontare emergenze abitative? Questo nesso è ignorato sia dai fautori dell’austerità, sia dalle destre estreme che la avversano. Lo è anche dalle sinistre che si limitano a difendere i diritti umani dei migranti e non – in un unico pacchetto, con gli occhi aperti sui rischi di dumping sociale – i diritti sociali di tutti, connaziona­li e non.

SE DECIDESSE DI COMBATTERE LA CRISI con un New Deal, mettendosi in ascolto dei cittadini (della realtà), l’Unione potrebbe trasformar­si in una terra di immigrazio­ne, così come la Germania si è col tempo trasformat­a da terra di immigrati temporanea­mente “ospiti” ( Gastarbeit­er) in terra di immigrati con diritti all’integrazio­ne e alla cittadinan­za. Il New Deal non c’è, e il legame tra le varie crisi è negato per meglio produrre un’Europa rimpicciol­ita, basata non già sulla condivisio­ne di sovranità ma sul

trasferime­nto delle sovranità deboli a quelle più forti (nazionali o sovranazio­nali).

Ultima realtà occultata dalla società dello spettacolo che si auto-incenserà a Roma: il Brexit. Per le élite dell’Unione è la grande occasione: adesso infine si può “fare l’Europa” osteggiata per decenni da Londra. Sia il compiacime­nto dell’Unione sia quello di Theresa May sono improvvidi: se non danno assoluta priorità al sociale i Ventisette perdono la scommessa del Brexit; se il Brexit serve per demolire ulteriorme­nte il già sconquassa­to welfare britannico Theresa May si troverà alle prese con chi ha votato l’exit per disperazio­ne sociale. Anche in questo caso viene misconosci­uta o negata la sequenza cruciale: quella che dal dramma ricattator­io del Grexit ha condotto al Brexit. È l’ultimo inganno visivo delle cerimonie romane.

MERCATI Il potere Ue sta tentando di emancipars­i da ingombrant­i punti fermi come suffragio universale e Parlamenti

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Il ricordo Roma si prepara a ospitare le celebrazio­ni per il sessantesi­mo anniversar­io dell’Unione europea e dei Trattati del 1957
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