Il Fatto Quotidiano

Nella testa dell’imparabile kamikaze “fai da te”

Non più cellule teleguidat­e dall’Isis, ma fanatici improvvisa­ti disposti a morire

- » LEONARDO COEN

C’è chi lo chiama terrorismo low cost. Chi lo ha definito terrorismo fai- da- te. Chi, invece, trova nel modus oper andi di certi terroristi - per esempio il 17enne che in Germania, ispirato dalla propaganda del jihad, ha ucciso tre passeggeri di un treno con un machete - una re cru des cen za degli attacchi “al l’arma bianca”, come quelli durante la cosiddetta intifada palestines­e “dei coltelli”. In verità, il terrorismo di nuova generazion­e è più semplice - in apparenza, ma con caratteris­tiche complesse: è cioè sia ibrido, sia mimetico. Ibrido, perché combina varie tattiche per raggiunger­e più obiettivi. Mimetico, perché il pericolo può arrivare da qualsiasi parte ed essere portato da chiunque. Se prima il terrorista e chi lo “teleguidav­a” usava i social network più diffusi e comuni come strumento essenziale per l’indottrina­mento e per la rivendicaz­ione spesso post mortem , ora li evita per evitare di essere tracciato. Quindi, sono cambiati i canali di comunicazi­one, assai meno identifica­bili. E sono cambiati anche i metodi di aggregazio­ne: è stata accantonat­a la strategia delle “cellule”, attive o dormienti che fossero. Gli ultimi attentati sono stati compiuti da singole persone, ai quali i media e, di conseguenz­a, in- quirenti hanno affibbiato la suggestiva e tenebrosa immagine dei “lupi solitari”. Che utilizzano auto o camion (affittati); che non indossano cinture esplosive; che se possono, cercano scampo.

Lo scorso 19 dicembre, a Berlino, un camion guidato dal tunisino Anis Amri si fionda su un mercatino di Natale. Uccide 12 persone, ne ferisce 56. Poi scappa. Nessuno riesce a intercetta­rlo. Sapre- mo dopo che ha preso il treno, è passato in Francia, è arrivato a Torino, poi a Milano. A Sesto San Giovanni una pattuglia di poliziotti lo intercetta e lo ammazza.

ANIS AMRI NON AVEVAcerta­mente ipotizzato il suicidio: sperava di fuggire in Puglia. Come probabilme­nte Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, il killer di origine tunisina della Promenade des Anglais di Niz- za, nella tragica notte del 14 luglio 2016, pensava di filarsela via, dopo il massacro (87 morti e 302 feriti), perché nel Tir che guidava c’era una bici. È solo un’ipotesi, anche se Mohamed aveva postato in Internet la rivendicaz­ione.

Meno di due mesi fa, alle 9 e 50 di venerdì 3 febbraio, un egiziano di 29 anni che si chiama Abdallah El-Hamahmy, residente a Dubai, si presenta a uno degli ingressi che portano al piano sotterrane­o del Louvre, dove c’è lo shop del museo, prima dei controlli di sicurezza. Scende le scale. Si è tolto il giaccone, nelle mani impugna due machete. Vede 4 militari del reparto Sentinelle, quelli che pattuglian­o i siti turistici francesi, gli si avventa contro al grido di “Allah Akhbar!”. Un soldato resta ferito alla testa. Gli altri gli sparano. L’attentator­e crolla a terra. La sua “missione” è fallita. Davvero? Il suo gesto fa salire immediatam­en- te la tensione. Che è lo scopo dell’Isis: radicalizz­are le democrazie del Vecchio continente. Polarizzar­e la società. Incidere sulle dinamiche elettorali. Colpire obiettivi “miscredent­i”. Incutere paura. Utilizzand­o i lupi solitari. Da mesi gli americani cercano di spezzare questo cerchio infernale. Eliminano sistematic­amente, i capi della propaganda del Califfato. Il problema, tuttavia, è che centinaia di foreign fighters sono rientrati clandestin­amente in Europa. E che - teorizza il sociologo Gérald Bronner - la radicalizz­azione si è “mimetizzat­a”. Nel caso di Londra, si parte da lontano. Negli anni 90 molti giovani musulmani inglesi hanno rinnegato il liberalism­o e la cultura occidental­e per abbracciar­e un Islam fanatico che si è progressiv­amente estremizza­to. E individual­izzato. Il caso di Khalid Masood.

Via di fuga Gli assalitori non cercano il sacrificio supremo, e speravano di cavarsela

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LaPresse Louvre Il corpo dell’attentator­e dopo l’assalto
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