Nella testa dell’imparabile kamikaze “fai da te”
Non più cellule teleguidate dall’Isis, ma fanatici improvvisati disposti a morire
C’è chi lo chiama terrorismo low cost. Chi lo ha definito terrorismo fai- da- te. Chi, invece, trova nel modus oper andi di certi terroristi - per esempio il 17enne che in Germania, ispirato dalla propaganda del jihad, ha ucciso tre passeggeri di un treno con un machete - una re cru des cen za degli attacchi “al l’arma bianca”, come quelli durante la cosiddetta intifada palestinese “dei coltelli”. In verità, il terrorismo di nuova generazione è più semplice - in apparenza, ma con caratteristiche complesse: è cioè sia ibrido, sia mimetico. Ibrido, perché combina varie tattiche per raggiungere più obiettivi. Mimetico, perché il pericolo può arrivare da qualsiasi parte ed essere portato da chiunque. Se prima il terrorista e chi lo “teleguidava” usava i social network più diffusi e comuni come strumento essenziale per l’indottrinamento e per la rivendicazione spesso post mortem , ora li evita per evitare di essere tracciato. Quindi, sono cambiati i canali di comunicazione, assai meno identificabili. E sono cambiati anche i metodi di aggregazione: è stata accantonata la strategia delle “cellule”, attive o dormienti che fossero. Gli ultimi attentati sono stati compiuti da singole persone, ai quali i media e, di conseguenza, in- quirenti hanno affibbiato la suggestiva e tenebrosa immagine dei “lupi solitari”. Che utilizzano auto o camion (affittati); che non indossano cinture esplosive; che se possono, cercano scampo.
Lo scorso 19 dicembre, a Berlino, un camion guidato dal tunisino Anis Amri si fionda su un mercatino di Natale. Uccide 12 persone, ne ferisce 56. Poi scappa. Nessuno riesce a intercettarlo. Sapre- mo dopo che ha preso il treno, è passato in Francia, è arrivato a Torino, poi a Milano. A Sesto San Giovanni una pattuglia di poliziotti lo intercetta e lo ammazza.
ANIS AMRI NON AVEVAcertamente ipotizzato il suicidio: sperava di fuggire in Puglia. Come probabilmente Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, il killer di origine tunisina della Promenade des Anglais di Niz- za, nella tragica notte del 14 luglio 2016, pensava di filarsela via, dopo il massacro (87 morti e 302 feriti), perché nel Tir che guidava c’era una bici. È solo un’ipotesi, anche se Mohamed aveva postato in Internet la rivendicazione.
Meno di due mesi fa, alle 9 e 50 di venerdì 3 febbraio, un egiziano di 29 anni che si chiama Abdallah El-Hamahmy, residente a Dubai, si presenta a uno degli ingressi che portano al piano sotterraneo del Louvre, dove c’è lo shop del museo, prima dei controlli di sicurezza. Scende le scale. Si è tolto il giaccone, nelle mani impugna due machete. Vede 4 militari del reparto Sentinelle, quelli che pattugliano i siti turistici francesi, gli si avventa contro al grido di “Allah Akhbar!”. Un soldato resta ferito alla testa. Gli altri gli sparano. L’attentatore crolla a terra. La sua “missione” è fallita. Davvero? Il suo gesto fa salire immediatamen- te la tensione. Che è lo scopo dell’Isis: radicalizzare le democrazie del Vecchio continente. Polarizzare la società. Incidere sulle dinamiche elettorali. Colpire obiettivi “miscredenti”. Incutere paura. Utilizzando i lupi solitari. Da mesi gli americani cercano di spezzare questo cerchio infernale. Eliminano sistematicamente, i capi della propaganda del Califfato. Il problema, tuttavia, è che centinaia di foreign fighters sono rientrati clandestinamente in Europa. E che - teorizza il sociologo Gérald Bronner - la radicalizzazione si è “mimetizzata”. Nel caso di Londra, si parte da lontano. Negli anni 90 molti giovani musulmani inglesi hanno rinnegato il liberalismo e la cultura occidentale per abbracciare un Islam fanatico che si è progressivamente estremizzato. E individualizzato. Il caso di Khalid Masood.
Via di fuga Gli assalitori non cercano il sacrificio supremo, e speravano di cavarsela