Basile il cantastorie rompe gli incantesimi
In tempi nei quali i generi musicali più gettonati sono rap e neo-cantautorato pop, si suppone che la parola abbia riacquistato la sua centralità. Troppo spesso, invece, a essere cantata è una lingua conformista, adagiata su luoghi comuni che una volta erano figli dell’assuefazione televisiva e oggi sono derivati tossici dello slang da social network. Non è quindi affatto strana la sensazione di autenticità profonda, di genuinità antica e allo stesso tempo di paradossale modernità che si ricava dall’ascolto di un disco come U fujutu su nesci chi fa? di Cesare Basile.
IL NUOVO LAVORO dell’artista catanese, interamente cantato in dialetto, riesce nell’impresa di comunicare emozioni e storie che hanno il carattere dell’universalità pur con una modalità espressiva che si nega alla comprensione di chi siciliano non è.
Naturalmente viene fornita la traduzione in italiano dei testi, ma prima ancora di leggerli sono la forza stessa della musica e l’ipnotico salmodiare di Basile a dare all’ascoltatore l’impressione che quelle storie, con il loro carico di dolore e di significati, arrivino lo stesso. Come se appartenessero a un passato, o meglio a una zona fuori dal tempo, che è comune a tutti.
Questa ulteriore tappa nel viaggio alla ricerca delle proprie radici, da parte di un musicista che in gioventù si è svezzato con le suggestioni della Berlino post- punk e nella maturità si è scaldato al sole di un deserto di un immaginario West, corona brillantemente un percorso iniziato già da qualche anno con dischi quali Sette pietre per tenere il diavolo a bada, Cesare Basile (vincitore nel 2013 di una Targa Tenco) e Tu prenditi l’amore che vuoi. Oggi Basile è diventato davvero il cantastorie, il cuntista, evocato in Storia di Firrignu. Colui che dà vita ai pupi e alle avventure di Orlando, ma che un po’ più a sud sarebbe stato il g r i ot della tradizione africana.
E qui di schegge d’Africa se ne trovano svariate, dalle poliritmie ai controcanti, fin o a l l ’ a n d a m e n t o d esert-blues in stile Tinariwen della canzone che dà il titolo all’album. Ovvero Se esce il matto che succede?, con riferimento al joker delle carte,