Minzo sbeffeggia il Senato: non si è ancora dimesso
Lo aveva promesso una settimana fa, prima d’esser salvato dalla decadenza
Lo farò lunedì, se voi del Fatto però non scrivete più di me” promette il senatore condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per peculato per l’uso delle carte di credito Rai. L’interdizione dai pubblici uffici è bloccata fino a che la pena è sospesa: lui ha chiesto l’affidamento ai servizi sociali, che però non è ancora stato assegnato
Una settimana dopo essere stato salvato dal Senato dalla decadenza e aver contemporaneamente annunciato che si sarebbe comunque dimesso, Augusto Minzolini è ancora parlamentare. E delle sue dimissioni non c’è traccia. Non solo: l’ex direttore del Tg1 non ha ancora neanche presentato la richiesta ufficiale. Così diceva in aula: “Sono convinto che la mia battaglia vada al di là della mia persona, ma rappresenti l’occasione per fare il punto sulla giustizia e la democrazia nel nostro Paese. Ma per essere efficace deve essere sterilizzata dagli interessi personali, per questo mi dimetterò da senatore qualsiasi sia l’esito della votazione”. È già pronto a rimangiarsi la parola? Intravede i servizi sociali e pensa che effettivamente è meglio tenersi la pol- trona (e lo stipendio)? Lui nega categoricamente.
Al Fatto Quotidiano di c e così: “Io mi dimetto autonomamente perché l’ho detto e non perché me lo chiede Travaglio”. Il senatore è convinto delle sue ragioni, nonostante sia stato condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per peculato, ma sa pure che perdere la faccia non è una grande idea. E allora, la mette così: “Se mercoledì, il Fatto non avesse fatto quell’apertura del giornale che era una richiesta di dimissioni, quasi fossi un premier o fossi Fillon, la mia intenzione era di consegnare la lettera già giovedì (cioè, ieri, ndr)”. Insomma, ora è colpa del Fatto se resta dove sta? “Dico subito che consegno la lettera lunedì, così se fate una cosa domenica...”, promessa con risata incorporata e finale a effetto. Non resta che aspettare lunedì. Certo, il dubbio sorge spontaneo: non poteva dimettersi prima? Dice lui: “No: se mi dimettevo prima non potevo neanche ricorrere alla Corte europea”.
MA POI, se anche lunedì Minzolini presenterà effettivamente la lettera con la richiesta di dimissioni, serve sempre un voto dell’aula di Palazzo Madama. La procedura può essere lunga e laboriosa. La lettera deve arrivare alla presidenza del Senato e poi la capigruppo deve scegliere una data. Va da sè che la maggioranza incide di più sul calendario. E per il Pd questa non è una priorità, per così dire. Se ci sono discordanze, sarà l’aula a doversi esprimere sul calendario. Insomma, non è detto che la data sia così vicina. E poi c’è il metodo: lo scrutinio sulle dimissioni è segreto. L’aula di Palazzo Madama si eserciterà in un salvataggio numero due? O tutto sommato valuterà che non è il caso?
Nessuno può dirlo. Tra l’altro c’è il precedente di Giuseppe Vacciano, il parlamentare uscito dai Cinque Stelle, che cerca di dimettersi da due anni e mezzo. Dimissioni respinte quattro volte per motivi non chiari: visto che Vacciano continua a votare, per rispetto del mandato, coi Cinque Stelle. Infine, c’è il fattore tempo: in media servono almeno 2 mesi e saremo in estate. Insomma, che Minzolini lasci il suo seggio a Palazzo Madama prima delle prossime Politiche è tutt’altro che scontato. E l’interdizione dai pubblici uffici è ferma finché la pena è sospesa: il senatore ha chiesto l’affidamento ai servizi sociali, che non è scattato (un’udienza è fissata a fine marzo). Dalla condanna in Cassazione è passato un anno e mezzo.
IERI, INTANTO, Matteo Renzi a Corriere Live ha fornito la versione ufficiale: “Io avrei votato per la decadenza di Minzolini. Non perché non ritenga che questa vicenda non sia strana, ma perché non penso che il Senato sia il quarto grado della magistratura”. E poi, prima di lanciarsi in un ragionamento secondo il quale il destino dell’ex Direttorissimo interesserebbe soprattutto “l’acquario” in cui vivono politici e giornalisti, e non la gente comune, ha rincarato: “Per come la vedo io ciò che valeva per Berlusconi deve valere per tutti, anche per Minzolini”.
L’ex premier prende le distanze, ma i sospetti restano tutti. D’altra parte avrebbe mai potuto Renzi, così attento al consenso, dire qualcosa di diverso? Il deputato Pd, Dario Ginefra, attacca di nuovo: “Matteo non è credibile. A salvare Minzolini sono stati i suoi”. È da un minuto dopo il voto sulla decadenza che i renziani negano lo “scambio” con Forza Italia tra il salvataggio di Luca Lotti e quello di Minzo- lini. Sostenendo che a salvarlo sono stati anche “insospettabili” come Luigi Manconi e Pietro Ichino. Ma lasciare libertà di coscienza, come ha fatto il capogruppo dem Luigi Zanda, era più che sufficiente a far sì che i renziani (De Giorgi, Tonini, etc) si sommassero agli altri “salvatori”.
Giustificazioni ”Me ne vado perché l’ho detto io e non perché me lo chiede Travaglio”