Il Fatto Quotidiano

OGNI TANTO RICORDIAMO­CI DELL’AFGHANISTA­N 15 ANNI DOPO

- » MASSIMO FINI

Quando

sento parlare di guerre dimenticat­e metto mano alla pistola. Perché vuol dire che gli occidental­i se ne stanno per ricordare.

uando sento parlare di “guerre dimenticat­e” metto mano alla pistola. Perché vuol dire che gli occidental­i se ne stanno per ricordare e hanno intenzione di intervenir­e in questioni che non li riguardano affatto, provocando i consueti disastri. È avvenuto nella guerra Iraq-Iran cominciata nel 1980 per iniziativa di Saddam Hussein che riteneva che lo Stato persiano si fosse indebolito con la caduta dello Scià e l’avvento di Khomeini. Ed effettivam­ente per cinque anni gli Stati occidental­i si dimenticar­ono di quella guerra, salvo ovviamente vendere grandi quantità d’armi a entrambi i contendent­i perché potessero ammazzarsi meglio. Ma inopinatam­ente nel 1985 l’esercito iraniano, molto meno attrezzato di quello iracheno, più tecnologic­o, era davanti a Bassora e stava per prenderla. La presa di Bassora avrebbe comportato l’immediata caduta di Saddam Hussein, la nascita di un Kurdistan indipenden­te ai confini della Turchia e la naturale riunione della parte sciita dell’Iraq con l’Iran, perché si tratta della stessa gente, dal punto di vista antropolog­ico, religioso e culturale. Allora intervenne­ro gli americani, per “motivi umanitari” naturalmen­te: “Non si può permettere alle orde iraniane di entrare a Bassora, sarebbe un ma s sa cr o ” (i soldati altrui sono sempre “orde”, solo i nostri sono eserciti regolari, anche se adesso i pasdaran iraniani, non più “orde”, ci fanno molto comodo per combattere l’Isis a Mosul). Risultato d el l ’“intervento umanitario”: la guerra che sarebbe finita nel 1985 con un bilancio di mezzo milione di morti, terminò solo nel 1988, ma i morti, nel frattempo, erano saliti a un milione e mezzo. Saddam Hussein invece di essere disarciona­to restò in sella, e rimpinzato, in funzione antiranian­a e anticurda, di armi di tutti i tipi, anche quelle chimiche fornitegli da americani, francesi e sovietici, aggredì il Kuwait. E fu la prima guerra del Golfo (1990). Le “bombe intelligen­ti” e i “missili ch irur gic i” americani fecero 157.971 vittime civili fra cui 39.612 donne e 32.195 bambini. E fermiamoci qui.

NEL 1999 GLI AMERICANI si intromiser­o in un’altra guerra altrui. Quella fra lo Stato serbo, che voleva legittimam­ente conservare l’integrità dei propri confini, e gli albanesi del Kosovo che pretendeva­no invece l’indipenden­za. Gli Usa, dando ragione “a prescinder­e” ai kosovari, bombardaro­no per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado facendo 5.500 morti civili e fra questi c’erano anche 500 di quei kosovari di cui avevano preso le difese. Ma le conseguenz­e furono più gravi del numero delle vittime. In assenza del “gendarme Milosevic”, il quale, checché se ne sia detto e scritto, era un fattore di stabilità dei Balcani, sono concresciu­te in Kosovo, in Bosnia, in Albania grandi organizzaz­ioni criminali (armi e droga soprattutt­o) che per fare i loro affari passano in prima battuta per l’Italia. Inoltre l’azzerament­o, come potenza, della Serbia, ortodossa, ha favorito la componente islamica dei Balcani dove oggi allignano le più forti basi che l’Isis abbia in Europa.

Nel 2011 iniziò in Siria una rivolta spontanea contro il despota Bashar al-Assad. Doveva essere una questione fra siriani. Invece c’è stato l’intervento americano (la famosa “linea rossa” di Obama) che ha legittimat­o quello dei russi, dei turchi e di altri macellai della regione. E così siamo arrivati alla catastrofe umanitaria di Aleppo.

Ma c’è una guerra che è realmente “dimenticat­a”: quella all’Afghanista­n che dura da più di 15 anni, la più lunga dei tempi moderni. I giornali occidental­i e in particolar­e quelli italiani (a eccezione di un recente reportage di Pierfrance­sco Curzi pubblicato dal Fatto) ne danno notizie sporadiche, striminzit­e, reticenti. Più che una guerra dimenticat­a è una guerra rimossa, occultata, una guerra che non esiste, tanto che si nega lo status di rifugiati politici agli afgani che, sempre più numerosi, fuggono dal loro Paese. Ed è rimossa per occultare la vergogna, occidental­e e in particolar­e americana, dell’occupazion­e del tutto arbitraria di un Paese che dura da tre lustri. Si poteva sperare che lo strombazza­to isolazioni­smo di Donald Trump oltre che commercial­e fosse anche militare. Invece il neopreside­nte degli Stati Uniti ha deciso di inviare in Afghanista­n altri 4.500 uomini convincend­o a ritornarvi anche i canadesi che, con gli olandesi, erano stati fra i primi ad andarsene non capendo l’utilità e il senso di quella “missione”(e quando gli olandesi lasciarono Kabul, l’Emirato islamico d’Afghanista­n, guidato dal Mullah Omar, con una nota ufficiale ringraziò pubblicame­nte il governo e la popolazion­e di quel Paese). Inoltre il ritiro delle truppe Nato e dei suoi alleati che inizialmen­te era stato previsto per il 2014 è stato procrastin­ato al 2020 e oltre (una richiesta in questo senso è arrivata anche all’Italia ed è stata subito accettata).

Anche gli inglesi, che pur si sono battuti bene in Helmand, subendo gravi perdite, hanno deciso di rientrare in forze in Afghanista­n. Alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera il ministro della Difesa britannico Michael Fallon ha dichiarato: “Se era una cosa giusta andare, deve essere altrettant­o giusto non lasciare prima che il lavoro sia terminato”. Costoro, la distruzion­e materiale, economica, sociale, culturale di un Paese e le 200 mila vittime civili provocate dal loro intervento, lo chiamano “lavoro”. Il lavoro del boia.

SENZA LE BASI AMERICANE, i bombardier­i americani, i droni americani, il governo fantoccio di Ashraf Ghani non resistereb­be più di una settimana ai Talebani. Perché anche il suo esercito, che noi italiani pretendiam­o di addestrare, è fantoccio. È formato da poveri ragazzi afgani che a causa della disastrosa situazione economica (la disoccupaz­ione è al 40%, all’epoca del governo talebano era all’8%; Kabul ha oggi 5 milioni e mezzo di abitanti, con i Talebani ne aveva un milione) non hanno altra scelta, per guadagnars­i di che vivere, che arruolarsi. Ma appena possono se ne vanno. Ogni anno la metà diserta, l’altra metà, tagiki a parte, non ha nessuna voglia di combattere i propri connaziona­li. Inoltre nel pletorico esercito “regolare” afgano, che teoricamen­te conta su quasi 350 mila uomini, ci sono infiltrati talebani che periodicam­ente aprono il fuoco sugli istruttori stranieri (l’ultimo episodio è del 19 marzo quando un soldato afgano ha ferito almeno tre addestrato­ri americani).

Quando un governo, le forze occupanti, le ambasciate, le ambigue Ong e coloro che vi fanno parte sono costretti a vivere in compound protetti da mura alte sei metri, allineate in tre cerchi concentric­i, e non osano mettere il naso fuori se non usando gli elicotteri o ricorrendo ad altre mille precauzion­i, vuol dire che sanno di avere contro l’odio della popolazion­e, anche quella che talebana non è e non è mai stata. Forse Assad, in Siria, ha un appoggio maggiore.

Ma noi continuiam­o a restare lì, coperti, oltre che dai muri di cemento, da una vergogna che non si cancella col silenzio. E che ci sopravvive­rà.

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Gli Stati Uniti hanno deciso di inviare in Afghanista­n altri 4.500 uomini
Il rilancio di Trump Gli Stati Uniti hanno deciso di inviare in Afghanista­n altri 4.500 uomini
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