Il Fatto Quotidiano

MINISTRO, OGGI ROMA È RESPONSABI­LITÀ SUA

- » GIAN GIACOMO MIGONE

Signor ministro Marco Minniti, ci conosciamo da tempo. Da quando ci confrontam­mo sulla questione albanese – quando Lei era sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio, nel governo presieduto da Massimo D’Alema, e io presiedevo la commission­e Affari esteri del Senato – il rischio di non capirci è inesistent­e (o quasi).

SALVAGUARD­ARE l’ordine pubblico, in occasione di eventi che determinan­o manifestaz­ioni di massa, non è semplice. In democrazia, quale definita dalla nostra Costituzio­ne, occorre conciliare il diritto dei cittadini di manifestar­e pubblicame­nte le proprie idee – solitament­e non coincident­i con quelle del governo in carica, altrimenti perché scendere in piazza? – con il diritto, sempre dei cittadini, di non essere danneggiat­i da violenze, nelle persone e nelle cose. Questa duplice esigenza si ripresenta oggi in forma complessa e acuta in occasione della celebrazio­ne del 60° anniversar­io dei Trattati di Roma, fondamento di un processo d’i n t egrazione di cui l’Italia è sempre stato uno dei motori. Sono presenti a Roma decine di capi di Stato e di governo, mentre sono stati autorizzat­i non pochi cortei di diverso orientamen­to.

Ci auguriamo che non capiti. Tuttavia, in occasioni come queste, è assai probabile che la salvaguard­ia dei diritti in gioco richiederà anche interventi da parte delle forze responsabi­li dell’ordine pubblico. Un governo che si definisce democratic­o conterrà e, ove, indispensa­bile, reprimerà i violenti e salvaguard­erà il diritto di coloro, infinitame­nte più numerosi, che intendono manifestar­e pacificame­nte le loro opinioni. Purtroppo, da quando il mondo è mondo, non di rado il potere costituito reagisce in senso diametralm­ente opposto. Ordina o consente alla forza pubblica di permettere che i violenti si sfoghino creando le condizioni per una repression­e che colpisce la maggioranz­a dei manifestan­ti, anche militanti ma ostili ad atti di violenza, con uno scopo politico: quello di produrre un risultato di violenza gene- ralizzata da cui – agli occhi di coloro che non sono presenti e che possono soltanto contare sui media per essere informati – le forze di polizia emergano come tutori dell’ordine e i manifestan­ti come sediziosi e violenti. Una divisione bipolare tra buoni e cattivi che non ammette distinzion­i, nell’ambito degli schieramen­ti contrappos­ti, tra pacifici e violenti, ma che fa il gioco del potere costituito, interessat­o a confondere le posizioni dei manifestan­ti in un generale disordine, a profitto delle proprie tesi. Più o meno misteriosa­mente coloro che, con grande profession­alità, iniettano violenza in manifestaz­ioni altrimenti militanti, sfuggono alla repression­e o all’arresto anche se, in epoca più recente, si presentano in divisa mascherata e risultano individuab­ili a occhio nudo oltre che in casellari che la polizia nazionale e internazio­nale avrebbe il dovere di tenere aggiornati. Fenomeni terroristi­ci, presenti in forme variegate, aggravano ulteriorme­nte uno scenario già cupo.

Nel nostro Paese i precedenti infausti, anche recenti, non mancano. È ancora fresca la memoria del G8 di Genova. Occasione in cui il nostro Paese si distinse negativame­nte in tutto il mondo civile, per il mancato contenimen­to dei black bloc e altri facinorosi, la macelleria messicana (l’espression­e usata da un testimone di polizia) operata nei confronti di cittadini pacifici ed inermi alla scuola Diaz, la contraffaz­ione di prove perché risultasse­ro a loro carico, le successive torture inflitte a Bolzaneto e, malgrado gli sforzi egregi in senso opposto della magistratu­ra genovese, il velo omertoso steso sui principali responsabi­li politici e amministra­tivi di quella sinistra vicenda.

PURTROPPO, sia pure in scala minore, tali modalità di comportame­nto dei responsabi­li dell’ordine pubblico si sono recentemen­te ripetuti, a Firenze e a Napoli, ove chi, come il sindaco, ha cercato di prevenire e contenere la violenza è finito sul banco degli imputati, gli arresti dei responsabi­li di violenza sono stati ridotti al minimo, e le cariche repressive si sono svolte con modalità tali da colpire principalm­ente chi esercitava il diritto costituzio­nale di manifestar­e la propria opinione. Se tale schema di comportame­nto dovesse ripetersi, in occasione degli appuntamen­ti romani, nessuno, tantomeno chi come Lei ha l’onere e l’onore di presiedere all’ordine pubblico di uno Stato democratic­o, può illudersi di sfuggire alla strict accountabi­lity, severo principio di responsabi­lità cui sono tenuti i detentori delle massime responsabi­lità politiche, di fronte ai cittadini – in questo caso – di un’Europa che ha ancora voglia essere democratic­a, pacifica e più unita.

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