QUEI 5 MORTI A LONDRA E I 240 IN LIBIA
NAUFRAGIO davanti alle coste libiche: “240 morti”. Allarme Onu: profondamente preoccupati. Da gennaio 587 vittime, senza questi ultimi. LA REPUBBLICA ANCHE IO COME TANTI, martedì scorso a Cartabianca, la trasmissione di Bianca Berlinguer su Raitre, ho ascoltato con ammirazione Flavio Insinna, testimone autentico di cosa significhi aiutare gli altri. Anche io ho scoperto dietro l’immagine del popolare conduttore televisivo l’uomo che può dire guardando negli occhi il prossimo: “Voi dividete il mondo in italiani e stranieri. Io lo divido in oppressi e oppressori. E starò con gli oppressi tutta la vita”. Insinna rappresenta la differenza (infinita) tra le parole e i fatti, tra coloro che vorrebbero fare qualcosa per gli altri e chi realmente lo fa. Alle altre belle frasi che Insinna ha pronunciato quella sera vorrei aggiungerne una, questa: non è vero che nell’opinione comune la vita di tutti gli esseri umani ha lo stesso valore. È vero invece che a questo mondo esistono morti di serie A, di serie B e anche di serie C. Basta sfogliare le pagine di tutti i giornali e di tutti i siti on line per rendersene conto. Grande spazio, giustamente, ai cinque morti di Londra, vittime del terrorismo. Una breve notizia sui 240 morti annegati nelle stesse ore sui barconi, condito da un freddo richiamo sulla contabilità complessiva dall’ini zio dell’anno: 587 vittime. Non mi azzardo a dare lezioni a nessuno anche perché da direttore di giornale spesso non mi sono comportato diversamente. Non penso si tratti neppure di cattiveria o di cinismo o di razzismo. Voglio credere che di fronte a un migrante in difficoltà Matteo Salvini o Marine Le Pen si getterebbero in acqua per salvarlo. Il problema è un altro e riguarda ciò che, lentamente come un veleno, si è ormai insinuato nel senso comune modificando la nostra scala dei valori. Se la comunicazione mediatica non fosse beata- mente immersa nella melassa dell’ipocrisia (guai a scherzare in tv sulle donne dell’Est quando alle donne dell’Est affidiamo le mansioni che le donne dell’Ovest non vogliono fare: sguattere e badanti quando gli va bene) dovrebbe avere il coraggio di dire (e dirsi) la verità. Sì, nella percezione dominante i cinque morti di Londra sono infinitamente più importanti dei 240 finiti in fondo al mare. Delle vittime di Westminster oggi conosciamo la storia e gli affetti, cosa ci facevano lì e possiamo anche commuoverci davanti a una foto, a un sorriso. Degli altri (240 o dei 587) non sapremo mai nulla e tutto sommato nulla c’interessa sapere. E forse neppure leggeremo sui giornali il pezzo che li riguarda, che da anni è sempre lo stesso pezzo. Numeri e basta. Forse, chissà, tra qualche tempo su qualche spiaggia turca o greca la risacca lascerà una scarpetta o una felpa o la carcassa di un cellulare. Se poi il mare restituirà (come si dice) un corpicino, quella foto diventerà virale e tutti molto lacrimeremo: oh Aylan povero piccino. Ci sarà anche un allarme Onu: profondamente preoccupato. Però esiste anche una serie C dei vivi e dei morti. Ad essa appartengono rom, zingari, barboni la cui morte può valere anche più della loro vita. Se ascoltiamo le telefonate che giungono alla “Zanzara” (meritoria trasmissione-spurgo di Radio24) dove si auspica la termovalorizzazione di quei corpi inutili onde ricavarne utile energia domestica. Caro Insinna, così va il mondo ma non il suo certamente pieno di tante persone che ogni giorno e ogni ora, silenziosamente, si dedicano alla sofferenza altrui. Dopo i fatti di Londra leggo questo titolo: “Il Parlamento riapre subito. I nostri valori vinceranno”. Mi aiuti a capire: quali valori?
Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano
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