“In effetti io avrei fame” E Juncker chiude lo show
Èandata! Il 60esimo dei Trattati di Roma passa senza drammi e figuracce: Gentiloni sospira di sollievo. Retorica e poco altro. Alla fine il gaffeur manda tutti a pranzo al Colle
Io in effetti ho fame”, Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea - sul finire della conferenza stampa in Campidoglio al termine della cerimonia della firma del Sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma - dà il via al rompete le righe. Sospiro di sollievo generale, interrotto da Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, che non resiste a prendersi un attimo la scena: pare che “vigilerà” sul futuro dell’Unione. Dura poco, i leader possono andare a pranzo al Quirinale.
Cielo limpido e sole caldo a Roma. Un migliaio di giornalisti accreditati, doppia sala stampa, una all’aperto, con tensostruttura e vista sulle rovine. Selfie collettivi e sedie che non bastano. Al netto del panorama mozzafiato, però, tra i 27 grandi d’Europa più che entusiasmo, si respira ansia da prestazione. Per non dire da “sospensione”. “Ventisette. Ci saranno ventisette firme. Ventisette sotto un testo valgono la giornata”, commentano da Palazzo Chigi.
La notizia è quella: alla fine tutti i - 27 - leader firmano la Dichiarazione congiunta. Poco importa se tale dichiarazione non scioglie praticamente nessuno dei nodi sul futuro della Ue. L’Unione esiste ancora, per un giorno marcia più o meno compatta. Niente fuochi d’artificio, né sorprese. L’obiettivo raggiunto è quello minimo, ma pare già tanto. “Ci siamo dati una prospettiva decennale”, dice il premier Paolo Gentiloni. È una sorta di “Io speriamo che me la cavo”, collettivo.
A INIZIO MATTINATAlo stesso Gentiloni, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il presidente di turno dell’Ue, il maltese Joseph Muscat, aspettano l’arrivo dei leader sul tappeto rosso, in piazza del Campidoglio. Solennità relativa. Il premier lussemburghese, Xavier Bettel, va direttamente a stringere le mani ai giornalisti. Juncker saluta i colleghi, ma poi fa una specie di giro d’onore davanti alle telecamere. Angela Merkel giacca bianca, pantalone nero, arriva con incedere solenne, ma alla fine della breve camminata perde il ritmo. Il trio ufficiale ha un’appendice: la sindaca di Roma, Virginia Raggi, con fascia tricolore saluta davanti all’ingresso del Comune.
Tutti nella stanza degli O- riazi e dei Curiazi, quella dove 60 anni fa si firmarono i Trattati su mercato comune ed energia atomica. Lì, all’indomani del Bataclan, fu Matteo Renzi a lanciare l’idea della celebrazione. Ieri, l’ex premier si notava per l’assenza: era in Emilia Romagna per un giro congressuale nel modenese. Molti altri, però, ci sono a prescindere dal ruolo, qualcuno in nome del passato: tipo Giorgio Napolitano, Romano Prodi, Mario Monti. Espressioni tirate, sorrisi contenuti. C’è Federica Mogherini, Lady Pesc. E pure mezzo governo, da Minniti ad Alfano e Orlando e Gozi. E Maria Elena Boschi, che di giornate in pompa ma- gna non se ne perde una. Manca Luca Lotti, in Toscana per i congressi di circolo del Pd. I discorsi, che mettono tutti l’accento su un passato importante e un futuro incerto, assomigliano a interventi motivazionali. “Ci siamo fermati e questo ha provocato una crisi di rigetto dell’opinione pubblica”, dice Gentiloni: “Dob- biamo ripartire”. Per dire come, il premier italiano usa la locuzione “convivere con la diversità”. Espressione ambigua per far riferimento a quella “doppia velocità” che il testo non esclude ma neanche mette nero su bianco. “Rimanere immobili non è un’opzione”, dice Muscat. Tusk ribadisce che “l’Europa o è unita o non è”. Mentre Juncker brilla per sincerità: “Quando sono a Bruxelles, ho nostalgia di come vedo l’Europa quando sto nel resto del mondo”. Il tutto inframmezzato da video storici e spot con promesse annesse.
POI, IL VIA ALLE FIRME. Tsipras non porta la cravatta (la rimetterà quando il debito greco sarà tagliato) ma firma: nel testo il riferimento all’Europa sociale c’è. Pacche sulle spalle. Beata Szydlo, la premier polacca nazionalista, data per incerta fino all’ultimo, spicca per il suo tailleur giallo. Si siede, prende la penna. La guarda. Poi guarda il foglio. Le spese per la Difesa ci sono. Fir- ma. E si rivolge alla platea dei colleghi allargando le braccia, come per dire “ecco fatto”.
Juncker, che si è scelto il ruolo del “disvelatore”, firma con una stilografica che risale al 1957 e si macchia con l’inchiostro. Dalla sala escono i leader ed entrano i giornalisti per la conferenza stampa. Una francese chiede un commento sulle future elezioni nella sua nazione. Forse vuole un pronunciamento contro Marine Le Pen. Silenzio. Poi, Gentiloni, ostentando un disinvolto francese, chiarisce: “Noi non prendiamo posizione. Ma vorrei dire ai francesi che devono continuare a fare i francesi”.
Il convitato di pietra Szydlo (Polonia) guarda la penna, il foglio e pure i colleghi Poi firma come gli altri