“Vi spiego cosa succede a noi lavoratori Sky”
“Questa settimana l’azienda ci chiamerà uno a uno, l’aria qui a Roma si è fatta malsana”
Ieri giornalisti e tecnici di Sky hanno scioperato e lo stesso faranno domani. A differenza delle agenzie di stampa, i lavoratori della tv satellitare protestano contro il piano di ristrutturazione dell’a zien da (un’azienda in utile) che prevede la chiusura della sede di Roma con contestuale trasferimento a Milano di 300 persone e licenziamento di altre 200 (nelle due liste figurano anche lavoratori invalidi, malati o che hanno familiari malati a carico, sindacalisti e altre “categorie protette”). Sky, però, non ha neanche aperto un tavolo di trattativa ufficiale e procede a “colloqui individuali” per convincere gli interessati a trasferirsi o andarsene. Quella che segue è la lettera di una lavoratrice del settore tecnico di Sky che ci è arrivata venerdì e racconta molto bene la situazione nello scintillante mondo della tv a pagamento. Buongiorno,
questa mattina mi sono alzata più affranta e incazzata del solito. Perché ieri l’azienda per la quale lavoro da 17 anni, ha presentato ai sindacati una proposta inde- cente per mandarci tutti a casa. Non ci sono più certezze, né possibilità. La vertenza che è partita di fatto due mesi fa, piano piano ci sta togliendo l’aria, un po’ come se fossimo tutti attaccati ad un respiratore che giorno dopo giorno ci toglie ossigeno. L’opportunità di cui parlano tanto, è l’imminente trasferimento nella ridente Milano. A forza di decantarcela come capitale futuristica, all’avanguardia e dai mille servizi, credo che per la prossima settimana Milano non dovrebbe avere neanche più la nebbia e lo smog.
Dopo il primo blando comunicato, siamo stati presi nei corridoi dai responsabili e volutamente circuiti: “Cosa vuoi fare, vuoi andare a Milano? Vai a parlare con quelli di HR (le risorse umane), ti aspettano a braccia aperte”. Tutti i giorni ognuno di noi è stato preso da parte o in alcuni casi in gruppo, per parlarci delle opportunità meravigliose che ci venivano offerte. Tutto questo mentre la redazione giornalistica si spaccava in due: da una parte il gruppo “prendi i soldi e scappa”, dall’altra lavo- ro e dignità per tutti.
Nel mezzo noi, una massa informe di persone che fino a quel momento non sapevano neanche di essere gruppo, ma che si sono ritrovati a riscoprire parole e valori che alcuni di noi non avevano ancora messo in pratica. Abbiamo riscoperto la solidarietà, l’unità e anche la lotta mano nella mano. Ma quello che mi angoscia più di tutto, non è l’incertezza del futuro per me e per la mia famiglia, ma il fatto che attorno a noi continua quell’atteggiamento per cui fino a quando ad essere colpito non è il tuo culo, va tutto bene. Quello che ti fa dire: “Ma che palle! Questi scioperano ancora, ma che vorranno mai?”. Non posso pensare che come modello comportamentale, i nostri figli abbiano un popolo di pecore che si sveglia solo quando la bomba a scoppiare è quella dentro casa loro.
Dalla prossima settimana l’azienda inizierà a chiamarci uno per uno. Incontri fatti non per proporre ma per imporre. Si inizierà dalle persone trasferite, poi si andrà avanti con gli esuberi. Le scelte saranno due: o parti o ti prendi “questi quattro spicci”. Non ci sarà contrattazione di alcun tipo, del resto stiamo parlando di un’azienda che ha messo tra gli esuberi, donne incinte e leggi 104. Agli esuberi rimane un calcio in culo e via con passi lunghi e distesi. Da due mesi per i corridoi di via Salaria 1021, a Roma, si respira tensione, paura e le persone iniziano a stare male. Sento ogni giorno di mogli e mariti, di compagni e compagne sull’orlo della crisi di coppia. I nostri figli ci domandano ogni giorno se ci trasferiscono a Milano, se la mamma li lascia soli. È questa la società che ci aspetta? Un popolo assoggettato dalla paura e terrorizzato dalla perdita del lavoro.
Molto probabilmente a Sky si salveranno i soliti noti (come in ogni azienda), alcuni giornalisti andranno via con le saccocce piene, altri si ritroveranno a fare un lavoro più tecnico che editoriale. Ma per loro non ci saranno problemi. Al popolo informe fatto di tecnici, amministrativi e giornalisti poco fortunati, non resterà altro che rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo, con meno soldi, senza un contratto con adeguate tutele, ma a testa alta.
È questa la società che ci aspetta? Un popolo assoggettato dalla paura e terrorizzato dalla perdita del lavoro