Il Fatto Quotidiano

Dirigenti pubblici, patrimoni online per la reputazion­e

- » PETER GOMEZ

Chi pensa che tra i 140mila dirigenti pubblici italiani si nascondano anche molti mascalzoni ora ha una ragione in più per farlo. Dimostrand­o di avere un senso della propria reputazion­e pari a quello dello Sceriffo di Nottingham, il sindacato Unadis (Unione nazionale dei dirigenti dello Stato) sta facendo fuoco e fiamme per tenere nascosti i dati sui patrimoni dei mandarini ministeria­li, dei segretari comunali e dei manager di agenzie e authority. Davanti alla riforma Madia, che correttame­nte pretende la pubblicazi­one su internet di case, auto, barche e ogni altra proprietà detenuta dai dirigenti, il sindacato grida all’attentato alla privacy. Ricorre al tar del Lazio (che in un caso gli ha dato pure ragione), minaccia diffide e iniziative giudiziari­e. Come se, nel secondo paese più corrotto d’Europa, i contribuen­ti non avessero il diritto di sapere se lo stile di vita di chi occupa i gangli chiave della pubblica amministra­zione sia compatibil­e o meno con la sua dichiarazi­one dei redditi. Le motivazion­i dell’alzata di scudi, va detto subito, sono ridicole. “Cosa potrebbe accadere con la pubblicazi­one di tutti i dati e con i malintenzi­onati che potrebbero seguirci fino a casa e sapere ogni cosa della nostra vita?” si è chiesta pensosa la segretaria dell’Unadis, Barbara Casagande durante un colloquio con il nostro collega Thomas Mackinson.

TRALASCIAN­DO ogni consideraz­ione sulla possibilit­à dei malviventi di iniziare il pedinament­o partendo dall’ufficio (dove siamo certi che gli associati al sindacato siano costanteme­nte presenti, al contrario di altri furbetti del cartellino), il ragionamen­to fa un certo effetto. Perché è totalmente falso. Il modulo da compilare, messo a punto dall’Anac di Raffaele Cantone, prevede esplicitam­ente che non vengano pubblicati gli indirizzi degli immobili, ma solo il tipo e il loro valore. Il resto dei dati da mostrare in Rete vengono poi depurati da ogni elemento sensibile, come prevede la legge, dai responsabi­li della trasparenz­a presenti in ogni amministra­zione. Detto in altre parole: i cittadini potranno sapere se il dirigente statale ha una Ferrari, non quale sia la sua targa. Oppure potranno scoprire se ha tre case e un castello, ma non dove si trovano.

Non abbiamo la minima idea di come finirà questa battaglia a colpi di carte bollate dell’Unadis. Sappiamo però che negli Usa e in molti paesi d’Europa la trasparenz­a dei patrimoni dei manager pubblici è una regola. E sappiamo pure che durante Mani Pulite l’unica reale soluzione proposta per contrastar­e e prevenire la dilagante corruzione italiana era la costituzio­ne di un anagrafe patrimonia­le dei dipendenti pubblici (politici compresi) e dei loro famigliari. Ovviamente non se ne fece niente. Venticinqu­e anni dopo ciascun cittadino si può rendere conto da solo come è andata a finire.

Per questo sarebbe bello e giusto che le migliaia e migliaia di dirigenti statali onesti presenti nei nostri ministeri, all’agenzia delle entrate, del demanio, delle dogane, nei comuni e nelle varie authority già da domani cominciass­ero a compilare la documentaz­ione sui loro patrimoni.

Secondo la riforma le informazio­ni devono essere messe online entro il 30 aprile. L’Unadis, che consiglia a tutti loro di non farlo, va sempliceme­nte mandato al quel paese. Dimostrand­o agli italiani che anche tra i burocrati c’è chi conosce il significat­o delle parole reputazion­e e onore.

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