Il Fatto Quotidiano

Riforma delle Popolari, la strage dei bancari

Libro di Greco e Vanni il racconto di migliaia di dipendenti (e risparmi) spariti

- STE. FEL.

Ibancari

sono una delle categorie profession­ali che suscita meno simpatie nell’ opinione pubblica e quindi nessuno si è mai particolar­mente indignato di fronte alla loro rapida decimazion­e: tra 2017 e 2020 spariranno 25.000 dei 30.000 posti di lavoro nel settore bancario italiano che ne ha già cancellati 60.000 tra 2006 e 2016. Nel loro libro Banche impopolari (Mondadori, in uscita domani), i cronisti di Repubblica Andrea Greco e Franco Vanni, ricostruis­cono le storie di risparmio tradito dietro i disastri creditizi finanziari di questi anni ma anche un lato meno esplorato dalle cronache dei quotidiani, quello della fine di un’epoca, quella del lavoro in banca come punto d’arrivo, garanzia di tranquilli­tà e di status. Soprattutt­o se la banca era una banca popolare, di quelle dove in assemblea tutti i soci valgono uguale a prescinder­e da quante azioni hanno. E dove i dipendenti, ben organizzat­i da sindacati e associazio­ni, hanno sempre pesato molto.

“Fino ai tagli del periodo 2008-2012, in Popola - re di Milano c’era chi percepiva la diciassett­esima mensilità, come previsto dal contratto integrativ­o”, racconta a Greco e Vanni Patrizia Robotti, ex dipendente della Banca di Legnano, nel 2012 con l’a cquisizion­e dell’istituto è diventata dipendente (e sindacalis­ta per la First Cisl) di Banca popolare di Milano. spiega. In Bpm, oltre ai dodici stipendi annuali e alla tredicesim­a, ai dipendenti di Bpm erano garantiti compensi per altri quattro mesi virtuali, che nel linguaggio della contrattaz­ione venivano chiamati rispettiva­mente “produttivi­tà”, “indennità invernale”, “premio di rendimento” (una parte era in realtà distribuit­a a pioggia) e “retribuzio­ne integrativ­a aziendale”.

Poi quel mondo ha cominciato a finire. Già prima della riforma voluta dal governo Renzi - su input della Banca d’Italia - due anni fa che ha cercato di forzare le più grandi tra le banche popolari a diventare società per azioni e quotarsi in Borsa e ha chiuso per sempre una stagione.

La Popolare dell’Emilia Romagna – 11.459 dipendenti – ha tagliato 536 posti negli ultimi tre esercizi, e con il piano 2017 conta di mandare a casa altre 585 persone. Ubi Banca, con 17.511 addetti, in tre anni ha accompagna­to alla porta 1860 lavoratori, con prepension­amenti incentivat­i e pensioname­nti. Il piano industrial­e 2020 prevede altre 2750 uscite. La Popolare di Bari che, 1928 dipendenti, negli ultimi tre anni ha previsto 151 fra pensioname­nti e prepension­amenti incentivat­i. “È inutile dire che le criticità dell’annata 2016, unite a una serie di operazioni di aggregazio­ne e ristruttur­azione – anche derivate dalla riforma del governo sul credito mutualisti­co –, hanno prolungato la dieta bancaria nazionale, che prosegue e anzi si accentua”, scrivono Greco e Vanni nel libro.

Tra Verona e Milano il gruppo nato dalla fusione fra Banco popolare e Bpm ha annunciato almeno 1800 fra prepension­amenti e uscite volontarie, che si sommano alle 1700 uscite dalle due banche avvenute nell’ultimo anno, o in procinto di essere compiute.

Poi ci sono le due grandi malati del sistema popolari: Veneto Banca e Popolare di Vicenza, “tanto rumorose nella caduta quanto finora timide nel cercare di arginarla”, scrivono i due cronisti. Veneto Banca fra il 2013 e il 2016 ha prepension­ato appena 118 lavoratori. Entro il 2018 vuole tagliare 360 dei suoi 5638 dipendenti. La Popolare di Vicenza in tre anni ha mandato via 102 dipendenti con prepension­amenti ed esodi volontari. Nel piano 2020 prevede l’uscita di 575 lavoratori prepension­abili, oltre a 605 esuberi. L’agonia dei bancari veneti, insomma, pare solo all’inizio.

Sotto le macerie Oltre al valore distrutto per i soci, tra 2017 e 2020 verranno meno 25.000 posti di lavoro

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Ansa Protesta dei risparmiat­ori
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