Il regalo del Jobs Act: 180 ricercatori a rischio
Riformati Sciopero giovedì prossimo
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causa di un perverso meccanismo di finanziamenti che 180 ricercatori precari dell'Inapp, istituto per il monitoraggio delle politiche del lavoro (vigilato dal ministero), rischiano il proprio posto. Il sistema, messo in piedi dal Jobs Act, oltre a mettere in pericolo la continuità occupazionale, ha creato anche un clamoroso conflitto di interessi tale da far dipendere il controllore dal controllato.
QUAL Èil problema? Con la riforma renziana, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), presieduta da Maurizio Del Conte, ha assunto il controllo delle risorse del Fondo sociale europeo. Si tratta della principale linea di finanziamento dell'Inapp, che fino a poco fa si chiamava Isfol. Quindi i ricercatori di questo ente sono ora chiamati a valutare l'operato di un'agenzia dalla quale dipendono sul piano economico. Un'assurdità, più volte sottolineata anche dalle commissioni Lavoro in Parlamento, ma mai risolta dal ministro Giuliano Poletti. Il timore, tra l'altro, è che Anpal non abbia interesse a tenere in vita un istituto autonomo di ricerca, potendo ricorrere più facilmente a consulenze esterne. La sigla sindacale Usb, sta conducendo una battaglia per i precari, alcuni dei quali in servizio da più di 15 anni: il 30 marzo faranno sciopero. La proposta dei vertici Inapp è quella di essere trasformati in un organismo intermedio del pro- gramma Spao, circostanza che garantirebbe maggiore autonomia. Esiste anche un accordo in tal senso, che ha visto protagonista l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, ma la burocrazia ne ha intralciato la messa in pratica. L'Inapp ha quindi chiesto di cambiare la fonte di finanziamenti, attingendo dai fondi delle politiche per l'inclusione. Un modo per svincolare l'Inapp dall'Anpal e per garantire la stabilizzazione dei collaboratori, così come tra l'altro previsto da uno dei decreti Madia e, in questo caso, da un accordo sindacale.
I ministeriali L’Inapp deve valutare l’operato di chi la finanzia. E Poletti non ha rimediato