Il Fatto Quotidiano

Addio Almerighi, pretore d’assalto contro i corrotti

Le inchieste Con Brusco e Sansa scoperchiò lo scandalo petroli anticipand­o Mani Pulite. Poi i casi della borsa di Calvi e Soffiantin­i

- FQ

La passione per la giustizia. La speranza di cambiare le cose. E anche la rabbia, quando serviva. Non hanno abbandonat­o Mario Almerighi fino alla fine. Nonostante la malattia che ieri lo ha piegato. Aveva 77 anni. Con lui se ne va uno dei giudici che hanno dato una svolta alla magistratu­ra italiana, che hanno cercato di fare luce sulle ombre del potere in Italia.

A COMINCIARE dagli anni ‘70. Quando Almerighi, nato a Cagliari, sbarcò a Genova e diede vita con i colleghi Carlo Brusco e Adriano Sansa a un’inchiesta che fece scricchiol­are la politica italiana: lo scandalo dei petroli. Li chiamavano “preto- ri d’assalto”, vent’anni prima di Mani Pulite.

Almerighi la ricordava così: “Ci occupammo delle multinazio­nali del petrolio, italiane e straniere, e della subordinaz­ione della politica al loro potere: si erano comprate un pezzo del Parlamento e a colpi di tangenti si facevano confeziona­re leggi su misura. Erano gli anni della cosiddetta “austerity”, ci dicevano che c’era poco petrolio, le domeniche dovevamo girare in bicicletta. E intanto io sentivo i manager petrolifer­i che al telefono davano ordini affinché le petroliere si bloccasser­o perché, dicevano, “siamo a tappo”: avevano i depositi pieni. E aspettavan­o che i politici decidesser­o l’aumento del prezzo. Poi, dopo le perquisizi­oni, scoprimmo tracce di tangenti per ottenere leggi scritte dai petrolieri”.

Erano giovani Almerighi e i suoi colleghi, e forse proprio questo li rese impermeabi­li a pressioni, influenze e minacce. Giorni e notti di lavoro, di interrogat­ori. Ma anche di partite a pallone con i figli piccoli per sfogare la tensione con un tiro: “Gol!”. Eccolo Almerighi, passione per la giustizia e per la vita.

La politica reagì con brutalità. Se la prese con i giudici e le intercetta­zioni: “Fecero una legge che impediva ai pretori di fare intercetta­zioni telefonich­e”, raccontò Almerighi.

C’ERA ANCHE chi difendeva i magistrati. Come Sandro Pertini - non a caso Almerighi si dedicò alla fondazione intitolata al Presidente - che lo accolse con Brusco e Sansa nella lavanderia del Senato per evi- tare di essere spiato e li incitò: “Andate avanti!”. Arrivò l’insabbiame­nto, ma in Almerighi restò il desiderio d’indipenden­za passato come testimone alle nuove generazion­i di giudici.

Poi gli anni romani, e Almerighi sempre scomodo. Come quando si occupò di Roberto Calvi fino a sostenere che “il Vaticano aveva pagato per la borsa del banchiere ucciso e i segreti che conteneva”. Ma indagò anche sulla morte di Samuele Donatoni, agente dei Nocs morto durante uno scontro a fuoco tra forze dell'ordine e sequestrat­ori di Giuseppe Soffiantin­i. Ucciso dai rapitori, così si chiuse subito il caso. Ma Almerighi lo riaprì, fino ad arrivare a esiti sorprenden­ti: “Ci sono due sentenze definitive che raccontano verità opposte”, raccontò. È una storia di prove perdute e altre comparse dopo mesi, pistole sparite, prove che il cadavere è stato spostato. E una perizia con una nuova pista, poi ignorata: a sparare sarebbe stata una ca-

BASTA ASCOLTI

I partiti reagirono accusando i giudici, fecero anche una legge per evitare che facessero le intercetta­zioni

libro 9 come quella dei Nocs. Almerighi lo raccontò in un libro: Mistero di Stato.

Dopo decenni di lavoro, dopo qualche incomprens­ione e delusione, il suo desiderio di cambiare lo spinse a scrivere libri: inchieste, romanzi, piece teatrali come l’ultima sull’amico e collega Giacomo Ciaccio Montalto. Il testimone( con Bebo Storti), perché Almerighi in un processo di mafia fu testimone. Ancora una volta scomodo, a ricordare i timori dell’amico per le infiltrazi­oni mafiose tra gli stessi giudici. Almerighi ne ricavò una denuncia di Giulio Andreotti. Vinse il magistrato. “Dagli anni ‘70 a oggi, non è cambiato nulla”, diceva pochi mesi fa Almerighi. Ma non è un’ammissione di sconfitta. Bastava leggere ieri le decine di messaggi che i magistrati - giovani e anziani - si scambiavan­o su internet per ricordare Almerighi: “Gente come te ci ha insegnato a essere liberi”.

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LaPresse Difesi da Pertini Almerighi si dedicò alla Fondazione Pertini, che lo difese nel ‘74

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