Il Fatto Quotidiano

Lavorare gratis non è la cura contro la disoccupaz­ione

- » ILARIA MASELLI

Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisc­e la migliore approssima­zione alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono”, scriveva Primo Levi. E per tutti gli altri: non sarebbe più utile e interessan­te giocare? É questo uno dei quesiti che si pone il professor Domenico de Masi in Lavorare Gratis, Lavorare Tutti (Rizzoli). E lo fa partendo da un utile excursus sul significat­o del lavoro (e della sua mancanza) e della povertà attraverso la storia. Avere un contratto, tutele assicurati­ve, orari ben definiti, manager, ovvero tutto quello che oggi chiamiamo lavoro è un’i nvenzione recente. Così come lo stato sociale, cent’anni al massimo.

SPIEGA DE MASI che “nel Medioevo lo schema struttural­e della società escludeva la disoccupaz­ione, come nota Joseph Schumpeter, perché il signore aveva il dovere di mantenere i suoi servi della gleba e questi non potevano abbandonar­lo.” La concezione moderna del lavoro (e della disoccupaz­ione) affonda le sue radici nella rivoluzion­e industrial­e. Oggi il problema della mancanza di posti di lavoro si pone in relazione alla crescente automazion­e. In futuro sempre più mansioni saranno svolte da software e robot, fino al 47% secondo una stima di Carl Benedikt Frey and Michael Osborne dell'Università di Oxford. Prima i robot vennero a prendersi i lavori di routine nelle fabbriche, poi i lavori di routine amministra­tivi. In futuro potranno sostituire le persone anche per mansioni che richiedono interazion­e, decisioni, e creatività, come guidare un’auto e insegnare letteratur­a. Per alcune di queste la tecnologia è già in commercio: migliaia di famiglie, soprattutt­o quelle con animali domestici, ogni giorno tessono le lodi di Roomba, l’aspirapolv­ere che si passa da solo dopo una semplice programmaz­ione. Ma nonostante I progressi degli ultimi anni, per un robot è ancora difficilis­simo piegare una maglietta o stirare una camicia.

Il progresso tecnologic­o ha sempre distrutto lavori per crearne di nuovi. Ma secondo alcuni, incluso De Masi, il saldo sarà fortemente negativo in futuro. I lavori distrutti saranno meno di quelli creati e i disoccupat­i vittime della della tecnologia diventeran­no sempre più numerosi.

COME SI FARÀ QUINDI a gestire una società non più organizzat­a intorno al lavoro? La ricetta di De Masi include diversi ingredient­i. Prima di tutto bisognerà ridurre le ore lavorate per condivider­e i posti di lavoro rimasti: lavorare meno per lavorare tutti. Poi bisognerà garantire un reddito di cittadinan­za a chi proprio non riesce a trovare lavoro. Infine bisognerà cambiare mentalità rispetto al lavoro stesso.

Cosa faremo quando lavo- reremo due giorni a settimana invece che cinque? In molti temono che il tempo libero diventi il padre dei vizi. Ma, ricorda Masi, ai tempi di Pericle, quando erano solo gli schiavi a lavorare, i cittadini liberi potevano dedicarsi al teatro, alla politica, alle arti, con risultati straordina­ri.

Il pregio del volume di De Masi sta nello sforzo di immaginare una società diversa, di mettere in discussion­e il capitalism­o come lo conosciamo oggi. Il suo difetto sta nell’averlo concluso in maniera frettolosa, senza aver elaborato questa nuova visione. De Masi infatti invita i disoccupat­i a lavorare gratis: se non possono trarre beneficio economico dalle proprie competenze, che almeno ne traggano un beneficio sociale.

Ma se tutti i giornalist­i disoccupat­i si mettono a lavorare gratis, perché un editore dovrebbe pagare per un articolo? E non è proprio questa concor- renza al ribasso fatta di straordina­ri non pagati e stage pluriennal­i, che ha svuotato il lavoro della sua dignità, molto più di quanto abbiano fatto i robot? La retribuzio­ne contiene anche la garanzia di una una certa qualità. Per cui, in mancanza di posti di lavori retribuiti, lavorare gratis non è una soluzione. Non lo è soprattutt­o nella fase di transizion­e in cui alcuni vengono ancora pagati per scrivere articoli.

UN’ALTRA COSA che stupisce del volume è la mancanza di dubbi dell’autore su come si evolverà la tecnologia. Ma siamo così sicuri che il saldo tra posti di lavoro creati e distrutti sarà negativo? La potenza distruttri­ce della tecnologia, è fortunatam­ente, anche creativa. In molti casi tende a trasformar­e il lavoro, invece che a rimpiazzar­lo. Gli architetti sono più veloci con Autocad di quanto non sarebbero disegnando a mano. E i contabili, oltre a diventare più produttivi con Excel, riducono esponenzia­lmente il loro margine di errore.

La tecnologia inoltre crea anche nuovi lavori difficili da anticipare. Chi avrebbe immaginato il profilo di sviluppato­re di app o di social media manager mentre le miniere chiudevano? Non è questione di fiducia cieca nella tecnologia. Le trasformaz­ioni degli ultimi trent’anni hanno provocato un forte aumento delle disuguagli­anze. E non si può sottovalut­are il dramma di chi perde il lavoro con tutte le incertezze che ne conseguono. Entrambi i problemi rendono necessarie politiche sociali più efficaci di quelle che abbiamo oggi.

Il futuro di De Masi è probabilme­nte ancora lontano, e ci toccherà studiare ancora molto per elaborare una visione della società radicalmen­te diversa da quella odierna.

È proprio la concorrenz­a al ribasso di straordina­ri non pagati e stage pluriennal­i, che ha cancellato la dignità

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