LA SIGNORA IN ROSSO, I SIGNORINI IN AZZURRO
Il “buco” della serie A per le parentesi delle Nazionali, apre ai patriottismi di quart’ordine spesso di infima risma e all’interesse per gli altri sport. Di memorabile nell’incontro di venerdì scorso, valido per le qualificazioni Mondiali, fra Italia e Albania, ci sono stati, vittoria di rigore a parte, solo i malaugurati petardi transadriatici. Un po’ penoso, via... Niente contro Ventura, uomo sufficientemente piacevole, nato nel giorno di Andreotti, qualche tempo dopo; dalla gavetta lunghissima che non ha avuto una carriera come avrebbe meritato, che a detta da tutti quelli che sono stati allenati da lui, ha insito un magistero tecnico, tattico, a quanto pare, umano.
Ma l’idea che la rappresentanza italiana in mutande, cui pare tanto tenga questo splendido popolo, e di sicuro più che ai Trattati europei del giorno dopo, sia stata affidata venerdì sera al Barbera di Palermo ad uno spettacolo livellato con l’Albania, in un pieno di modestia, fa francamente sorridere, per non dire di peggio.
E pensare che in vista delle manifestazioni importanti per la Figc la Nazionale è, o dovrebbe essere, il “quid” essenziale che orienta tutto il movimento. Per essa, intorno ad essa, in conseguenza di essa si compiono e si “scompiono” carriere, si fan- no lotte federali al cucchiaio, si perde la prima poltrona o la si guadagna. Tutto per un ‘Italia-Albania? Tutto che come in un ritorno di Coppa Italia vede De Rossi, romanista, segnare il rigore a Stracosha laziale, il quale però prende anche gol dal compagno di squadra Immobile…
Via, non è un po’ troppo, non fa ridere? Ovviamente non si tratta di mancare di rispetto a chi fa questo lavoro, diciamo così, ma di evidenziare la farloccagine dell’insieme. È sempre più evidente come il calcio giocato anche quando si ammanta di questo patriottismo mutandaro, sia un pretesto di affari che hanno poco a che vedere con esso. E il barnum mediatico, nella veste di imbonitore senza tregua, ci spaccia incontri simili come zecchini d’oro. Il tutto sotto forma di merchandising televisivo. Per fortuna l’immagine dello stadio che ci porteremo a lungo dietro non è quella, bensì il Meazza con il fantastico papa Bergoglio che stravince a distanza qualunque confronto con i mercuriali di Roma.
Comunque, benaugurabilmente, all’alba ci siamo accoccolati nell’abitacolo di Sebastian Vettel. La Formula1 quest’anno ha cambiato parecchio in uomini, macchine, pneumatici. È finita l’era di Bernie Ecclestone, con il suo potere assoluto, i suoi scandali e il modo in cui veniva definito: se penso agli ultimi qua- rant’anni in cui, beghe a parte, si è parlato di lui sbeffeggiandolo, mi viene da sorridere, pensando alle polemiche italiane su De Luca e la “chiattona”. È una questione di gusto che va al di là del giudizio e comunque non può regolarsi sui “tuoi” ei“loro”. Qualsiasi riferimento all’epopea di Berlusconi è puramente voluto. Tornando a Melbourne e al primo Gran Premio della stagione vinto senza ombre da Vettel, preceduto alla vigilia da aruspici favorevoli che hanno fatto crescere il titolo in Borsa di parecchio quasi a voler spingere la Rossa, sembra che stia cambiato il rapporto di forze tra Ferrari e Mercedes. Quanto non è possibile dirlo ora, ma insomma se le cose dovessero continuare così, dal momento che la Ferrari non vinceva da un anno e mezzo, sarà un Mondiale finalmente diverso. Non mi preoccupa l’entusiasmo di Vettel e del suo team, giustificato, né di Davy Crockett in maglione che fa il manager fuori Italia, con un pelo sullo stomaco da foresta amazzonica, bensì la flaianesca catena del soccorso al vincitore. Quando vedo Renzi agitarsi temo il peggio. In ogni caso è un pezzo d’Italia davanti e finalmente un italiano in corsa, Giovinazzo, che ha debuttato in modo onorevole.
Mi rimane il deplorevole dubbio se siano più patriottici i tifosi della Nazionale di calcio o i ferraristi. E quali delle due categorie sia più adatta a figurare in una rappresentanza presso il Parlamento europeo. Vedremo…