Il Fatto Quotidiano

Monsieur Hamon, socialista iconoclast­a

Francia Il candidato socialista è ultimo nei sondaggi per le presidenzi­ali grazie soprattutt­o al fuoco “amico” di quella parte di Ps che guarda al centrista Macron

- » LEONARDO COEN

Giovedì 23 marzo, san Giorgio martire. Il candidato socialista Benoit Hamon va a visitare il 1° reggimento di fanteria che è di stanza a Sarrebourg, nella Mosella. Un appuntamen­to simbolico: il 1° reggimento, infatti, è subordinat­o alla Brigata franco-tedesca, in seno alla prima divisione. Ma è anche il più antico reggimento in attività del mondo, perché è stato creato nel 1479 sotto il nome di bandes de Picardie. Davanti al colonnello che comanda la guarnigion­e, Hamon promette di aumentare il bilancio destinato alla Difesa portandolo ad almeno il 2 per cento del Pil, entro il 2022. Tre anni prima dell’avversario Emmanuel Macron, che ha posto lo stesso obiettivo però entro il 2025. Va incontro alle lamentele dei militari che da anni chiedono più fondi e mezzi, per affrontare le nuove crisi geopolitic­he e il terrorismo.

HAMON compirà cinquant’ anni il 26 giugno. È deputato eletto nel dipartimen­to Yvelines, il cui capoluogo è Versailles. Domenica 29 gennaio ha vinto a sorpresa le primarie del Partito Socialista, battendo il favorito Manuel Valls che si era dimesso da primo ministro per partecipar­vi. Il successo inatteso di Hamon spiazza ed imbarazza l’establishm­ent del partito. È la rivalsa dell’ala radicale, emarginata dai cacicchi del PS. E di uno che è stato sempre considerat­o, al massimo, un outsider. Soprattutt­o, il voto dei delegati è contro Hollande e i suoi governi, causa del crollo nel gradimento degli elettori. Hamon è stato ministro dell’educazione nazionale, ma non ha niente a che vedere con i politici d’apparato.

È brillante, utopista: ovviamente, è isolato nel Partito Socialista. Ha accettato la sfida. Conscio di combattere due volte. Fuori del partito. E dentro. Non è l’alfiere di una sinistra movimentis­ta, che grida, protesta, si oppone e basta. Vuole il potere. Per mettere in atto le sue proposte. Che puntano sul lavoro. Sull’ambiente. Sul reddito di cittadinan­za.

I militari di Sarrebourg applaudono. Hamon è stato apprezzato: il futuro ha bisogno di sicurezza. Siamo entrati in una zona di turbolenze estremamen­te pericolose e lui ha capito quel che occorre.

Ma a Parigi, nello stesso momento, si consuma un tradimento eccellente. E perfido. Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa, annuncia il suo ralliement – è la parola chiave di questa confusa campagna presidenzi­ale francese – cioè il suo “riallineam­ento”, l’appoggio ufficiale, a Emmanuel Macron, il leader centrista del movimento EnMarche! Che se dovesse diventare presidente, intende nominare premier la socialista Ségolène Royal, l’ex compagna di Hollande.

Non solo. Rilascia un’intervista velenosa al quotidiano regionale Ouest-France, il più diffuso in Francia, per sottolinea­re che pur votando per Macron “io resto socialista”.

Come a dire: è Hamon che non lo è: “Al pari della maggioranz­a dei francesi, rifiuto che la scelta dell’elezione presi- denziale si riduca a una scelta tra l’estrema destra e una destra dura. Non mi rassegno al fatto che la candidata del Front National possa andare in testa al primo turno. Non possiamo permetterc­i questo rischio. E Macron è il solo che porta valori che sono i miei, in questo quadro. L’Europa, è la mia storia. L’Europa è in crisi, ma ai disfattist­i che dicono ‘ab- band oniamol a’, rispondo: rimbocchia­moci le maniche. Macron è pragmatico, realista, capace di proporre un’Europa creativa, un’Europa che protegge, un’Europa della solidariet­à. E poi, mi riconosco nei sei cantieri che ha proposto: educazione, lavoro, economia, sicurezza, rinnovamen­to democratic­o e difesa della Francia a livello internazio­nale”. Che cosa lo distingue da Hamon? “Sono socialista da 43 anni. Ho condotto 14 battaglie elettorali. Sostengo Macron, ma resto socialista, anche se non sono membro di EnMarche!. Hamon è in una logica che rispetto, ma constato che la messa in opera di un tale progetto non corrispond­e alla realtà dei fatti e alla capacità di fare...”.

IL MESSAGGIO, anzi, il siluro, è lanciato. Le Drian aspetta il botto. Ha scelto con cura il giorno per il suo coming out. In verità, conosceva da tempo il programma di Hamon. Lo sgambetto è feroce. Hamon è

stufo di questi colpi alla schiena. Non ha più voglia di abbozzare. Sceglie Europa1 per replicare: “Non mi attendevo così tanti tradimenti. Non tanto nei miei confronti – io non chiedo nulla – ma di una storia, di valori che noi rappresent­iamo, del posto che compete alla sinistra. Oggi in Francia ci sono due sinistre, di fronte alle quali io voglio prendere le mie distanze. Quella che, per governare, rinuncia a essere di sinistra e che domani, per governare potrebbe, a sentire alcuni, abbassare l’ISF (Imposta di solidariet­à sulla fortuna, cioè il patrimonio, ndr), aumentare la pressione sui disoccupat­i, abbassare il numero dei funzionari, facilitare i licenziame­nti, ecco, questo non è la sinistra e se per conservare il posto al potere o esercitare il potere, bisogna fare questo, ebbene io non lo farò”.Una dichiarazi­one d’intenti. Purtroppo, anche una resa. Non soltanto dei conti.

Dei cinque candidati più importanti, Hamon è l’ultimo, nei sondaggi. Paga lo scorso socialista presso l’ opinione pubblica. E la guerriglia interna che lo vede come il rottamator­e del partito. Hamon ha infatti preso netta distanza dai vertici del PS. Ha arruolato l’economista Thomas Piketty, il climatolog­o Jean Jouzel, la filosofa Sandra Lauger e la sociologa Dominique Méda.

DEGLI ICONOCLAST­I, nel loro campo. Ma anche una squadra di grande qualità. Non il consueto schieramen­to di alti funzionari Ena, o l’a pparatchik socialista. È subito andato in rotta di collisione con Hollande, a proposito dell’Europa. No all’austerità. Politiche di armonizzaz­ione sociali e fiscali. Difesa comune. Riconversi­one ecologica della società, a cominciare da quella energetica, ossia nuovo trattato per ridurre le dipendenze strategich­e dal gas russo e dal nucleare. Dulcis in fundo, l’assemblea parlamenta­re della zona euro. Quest’ultimo punto ha imbufalito Hollande, che lo ha criticato pubblicame­nte a Bruxelles: “Chi decide sulla zona euro sono i governi. Che sono legittimi”. È successo il 9 marzo scorso. Guarda la coincidenz­a, ancora un giovedì...

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Ansa/LaPresse Sfidanti Sopra, Benoit Hamon, in basso Emmanuel Macron e François Hollande
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