SE LEGGI ERDOGAN MA PENSI A TRUMP
SE QUALCUNO tentasse di tracciare una linea per connettere in modo logico e sensato gli eventi del mondo, e volesse farlo dalla parte di Trump e della attuale politica americana, non ci riuscirebbe.
Donald Trump è presidente da soli due mesi, ma ha sconvolto il suo Paese e disorientato il mondo con una serie di eventi che sono nè politica nè atti decisionali. Sono sequenze di scatti umorali che si ripetono, dando l'impressione di non finire, come uno sciame di scosse dopo un disastroso terremoto.
Il disastro che Trump ha portato agli Stati Uniti è stato di ridurre in pezzi il mito, la tradizione e le prerogative della presidenza americana, istituzione fortissima solo se scrupolosamente contenuta nelle forme e nei limiti della Costituzione, e in armonia con i due poteri del Parlamento e della Giustizia.
Trump ha sfondato porte e tagliato ponti, fa la voce grossa, ma salvo continui tormentosi annunci amministrativi (dai viaggi proibiti agli oggetti proibiti nei viaggi) non può governare e non può (o non vuole o non riesce) a tracciare e annunciare un disegno politico del suo governo.
Recep Tayyip Erdogan, che profittando del fa- moso (vero o non vero) colpo di stato, ha trasformato il suo Paese in un’enorme prigione, ha un ruolo importante, governa un Paese chiave. Ma - come Trump - fonda le sue relazioni internazionali sulla denuncia, la minaccia, la protesta, il lamento.
Aveva in mano una grande potenza. Ha accresciuto il dominio, ma non può guidare la Turchia in nessuna direzione. Tutte le strade sono precluse.
In questa volontà di cercare il vicolo cieco, si assomigliano Trump e Erdogan. Ma hanno fermato l'intera rete delle relazioni internazionali.