Chi è ottimista fa male anche a te: digli di smettere subito
Esiste una specie più perniciosa di essere umano dell’ottimista? Costui è convinto che le cose andranno bene per il solo fatto che lui pensa che andranno bene. Inutile spiegargli i motivi per cui ci sono più probabilità che vadano male: l’ottimista, che è un allucinato della speranza, resisterà a ogni ragionamento che infici la sua convinzione. Si dirà: in fondo, l’ottimista non fa male a nessuno. Secondo autorevoli pensatori, le cose non stanno così.
“Essere ottimisti è da criminali”, disse Theodor W. Adorno alla radio tedesca nel 1968. Secondo lo studioso della Scuola di Francoforte, pensiero e ottimismo erano due cose inconciliabili e lo sarebbero state sempre di più col dominio della tecnologia e la decadenza della politica. Nietzsche disprezzava gli ottimisti, affetti da una “giovialità che paga il suo brio con l’inconsapevolezza dell’irreparabile”. Mentre per Gottfried Benn “Sperare significa: avere idee sbagliate sulla vita”.
Come facciamo oggi a dirci ottimisti? Se lo chiede il filosofo Terry Eagleton in Speranza (Ponte alle Grazie, traduz. Vincenzo Ostuni), che confessa: “Per me, il proverbiale bicchiere non solo è mezzo vuoto, ma con buona certezza contiene un liquido disgustoso e potenzialmente letale”.
L’ottimismo è totalitario: siamo circondati da spot, indifferentemente di prodotti industriali e di programmi politici, che inneggiano al pensiero positivo, in una gaiezza compulsiva che per- vade la nostra vita. Se già il nazismo propagandava l’ottimismo e il fascismo esaltava l’operosa fiducia dell’individuo al punto da vietare la cronaca nera, “la politica ‘della fiducia’ più che ‘della realtà’ promossa dalla Casa Bianca ai tempi di George W. Bush condusse l’atteggiamento tipico degli americani fino al livello della demenza”.
OGGI, lo storytelling si è assunto il compito di mettere la politica (e i politici) dentro una storia emozionalmente sceneggiata, nella quale tutto va bene perché è atteso di andare bene. La positività e l’euforia porterebbero l’Occidente fuori dalle morte gore del presente. È una forma di messianesimo ingenuo, pubblicitario, pompato da banalità manipolatorie come “torniamo grandi” e“meno paura più s pe r an za ”. È stato proprio l’ottimismo (quello che faceva contrarre debiti per com- prare oggetti e case senza poterli rifondare) a produrre la crisi scoppiata nel 2008, dopo la quale è stato chiaro che la speranza senza ragioni e senza ricchezza era un’arma rivolta contro noi stessi. Oggi impera non il pessimismo, che ci costringerebbe a interrogarci, ma un impasto di pensiero magico e passioni tristi. L’ottimismo ottuso perpetra le ingiustizie e occulta le contraddizioni della società. “L’ottimista professionista, l’ottimista patentato”, dice Eagleton, è in realtà un nichilista, perché non ha bisogno di sperare niente.
Quel che ci manca non è la speranza come atteggiamento, incapace di cambiare le cose di una virgola (e comunque su questo piano non possiamo competere con gli allucinati del jihad); ma una ragione nuova, e motivi razionali, a sostegno di una speranza autentica.