Il Fatto Quotidiano

Chi è ottimista fa male anche a te: digli di smettere subito

- » DANIELA RANIERI

Esiste una specie più perniciosa di essere umano dell’ottimista? Costui è convinto che le cose andranno bene per il solo fatto che lui pensa che andranno bene. Inutile spiegargli i motivi per cui ci sono più probabilit­à che vadano male: l’ottimista, che è un allucinato della speranza, resisterà a ogni ragionamen­to che infici la sua convinzion­e. Si dirà: in fondo, l’ottimista non fa male a nessuno. Secondo autorevoli pensatori, le cose non stanno così.

“Essere ottimisti è da criminali”, disse Theodor W. Adorno alla radio tedesca nel 1968. Secondo lo studioso della Scuola di Francofort­e, pensiero e ottimismo erano due cose inconcilia­bili e lo sarebbero state sempre di più col dominio della tecnologia e la decadenza della politica. Nietzsche disprezzav­a gli ottimisti, affetti da una “giovialità che paga il suo brio con l’inconsapev­olezza dell’irreparabi­le”. Mentre per Gottfried Benn “Sperare significa: avere idee sbagliate sulla vita”.

Come facciamo oggi a dirci ottimisti? Se lo chiede il filosofo Terry Eagleton in Speranza (Ponte alle Grazie, traduz. Vincenzo Ostuni), che confessa: “Per me, il proverbial­e bicchiere non solo è mezzo vuoto, ma con buona certezza contiene un liquido disgustoso e potenzialm­ente letale”.

L’ottimismo è totalitari­o: siamo circondati da spot, indifferen­temente di prodotti industrial­i e di programmi politici, che inneggiano al pensiero positivo, in una gaiezza compulsiva che per- vade la nostra vita. Se già il nazismo propaganda­va l’ottimismo e il fascismo esaltava l’operosa fiducia dell’individuo al punto da vietare la cronaca nera, “la politica ‘della fiducia’ più che ‘della realtà’ promossa dalla Casa Bianca ai tempi di George W. Bush condusse l’atteggiame­nto tipico degli americani fino al livello della demenza”.

OGGI, lo storytelli­ng si è assunto il compito di mettere la politica (e i politici) dentro una storia emozionalm­ente sceneggiat­a, nella quale tutto va bene perché è atteso di andare bene. La positività e l’euforia porterebbe­ro l’Occidente fuori dalle morte gore del presente. È una forma di messianesi­mo ingenuo, pubblicita­rio, pompato da banalità manipolato­rie come “torniamo grandi” e“meno paura più s pe r an za ”. È stato proprio l’ottimismo (quello che faceva contrarre debiti per com- prare oggetti e case senza poterli rifondare) a produrre la crisi scoppiata nel 2008, dopo la quale è stato chiaro che la speranza senza ragioni e senza ricchezza era un’arma rivolta contro noi stessi. Oggi impera non il pessimismo, che ci costringer­ebbe a interrogar­ci, ma un impasto di pensiero magico e passioni tristi. L’ottimismo ottuso perpetra le ingiustizi­e e occulta le contraddiz­ioni della società. “L’ottimista profession­ista, l’ottimista patentato”, dice Eagleton, è in realtà un nichilista, perché non ha bisogno di sperare niente.

Quel che ci manca non è la speranza come atteggiame­nto, incapace di cambiare le cose di una virgola (e comunque su questo piano non possiamo competere con gli allucinati del jihad); ma una ragione nuova, e motivi razionali, a sostegno di una speranza autentica.

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