Il Fatto Quotidiano

Se allo Stato servono soldi, la casa è il miglior Bancomat

A una tassazione già dal 2012 si aggiunge la spada di Damocle della riforma del Catasto

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Continua a chiedercel­o l’Europa. E come al solito, quando si tratta di queste raccomanda­zioni, anche l’invito a realizzare la riforma del catasto diventa cosa poco gradita. Del resto è da 30 anni che gli italiani aspettano invano di vedersi tassare le case in modo più giusto. Il copione che si ripete nelle città italiane è chiaro: chi ha comprato nel periodo del boom edilizio, oggi si trova un accatastam­ento che non rispecchia il valore commercial­e (più basso). Mentre chi ha un’abitazione di lusso in centro, paga come se fosse una casa popolare nell’estrema periferia. Una discrepanz­a che si potrebbe risolvere aggiornand­o i valori catastali delle abitazioni e riformulan­do la base imponibile non più sul numero dei vani, ma sulla superficie per metro quadro. Ma l’equità sul mercato non equivale a quella nei portafogli. Aumentando, infatti, il valore catastale (cioè la base imponibile anche ai fini Imu-Tasi) aumentereb­bero anche le imposizion­i fiscale di prime e seconde casa. Quindi, chi non paga l’Imu sulla prima casa dovrebbe cominciare a rifarlo. E a salire sarebbero anche imposte e balzelli vari sulle seconde case, la tassa sulle compravend­ita e sui rifiuti e, di conseguenz­a, la dichiarazi­one dei redditi. Una mattanza fiscale che, tuttavia, non rispetta la clausola di invarianza di gettito prevista dalla stessa riforma. In altre parole, la revisione dei valori catastali non deve in nessun caso portare risorse aggiuntive alle casse dello Stato o dei Comuni.

TANTO CHE due anni fa il governo Renzi, dopo aver messo a punto la riforma e fatto approvare all’unanimità dal Parlamento i principi della legge delega, ha poi messo il fascicolo in fondo al cassetto più polveroso di Palazzo Chigi. E l’unica grande novità (che non ha nessun effetto fiscale) è stato dato il debutto dei metri qua- dri nelle visure catastali di 64,2 milioni di immobili. Anche se, nei fatti, le agenzie immobiliar­i continuano a fare orecchie da mercante parlando sempre di metri quadrati commercial­i e alterando così il prezzo della casa.

Ora, però, che la Commission­e europea è tornata a sottolinea­re che in Italia sono stati compiuti “progressi limitati nel completare la riforma del catasto” e che questo non va affatto bene in un Paese che deve predisporr­e entro aprile una manovra correttiva da 3,4 miliardi di euro per evitare una procedura di infrazione, anche ai tecnici del ministero dell’Economia sono venuti i brividi al solo pensiero di attuare una riform che potrebbe pesare come un macigno su chi possiede una casa.

Secondo calcoli elaborati dalla Uil - Servizio politiche territoria­li, in base all’algoritmo messo a punto dall’Agenzia delle Entrate (che utilizza il valore delle locazioni calcolato dall’Osservator­io immobiliar­e tenendo anche conto di affaccio, ascensore, piano, esposizion­e, doppi servizi e zona, incrociand­o questi dati con quelli già esistenti), i nuovi valori degli immobili esplodono ovunque, sia in centro che in periferia, nonostante lo sconto del 30% inserito nel decreto per attutire i rialzi.

A PATIRE DI PIÙ sono le abitazioni oggi classifica­te come economiche e popolari (A3 e A4), soprattutt­o se ubicate nei centri storici. Ad esempio, calcola Il Sole 24 Ore, per immobile di 90 mq (5 vani catastali), con il nuovo valore catastale a Cagliari si registrere­bbe un incremento del 182%, a Napoli del 117%, a Genova e a Milano del 95%, a Roma del 92%, a Bologna del 78%, a Firenze del 75% e a Torino del 70%.

Una rivoluzion­e che non fa distinzion­i sociali: riguarda più dell’80% delle famiglie che vive in una casa di proprietà. Contribuen­ti già tartassati al massimo dal fisco. “Dal 2012 a oggi – denuncia Confediliz­ia – il carico di natura patrimonia­le che grava sulla proprietà immobiliar­e è quasi triplicato passando da 9 a 25 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti 20 miliardi di euro di imposta reddituale”.

Insomma, che la casa sia una sorta di Bancomat statale è evidente. Nell’annus horribilis della crisi, su consiglio della Commission­e Ue, il governo Monti ha introdotto l’Imu raddoppian­do le aliquote rispetto all’Ici e tassando anche la prima casa in precedenza esonerata dal governo Berlusconi. Manovra che ha fatto incassare 23,6 miliardi di euro (divisi tra Comuni e Stato) con un gettito di 4 miliardi derivante dall’Imu sulla prima casa. Poi c’è stato lo sgravio della prima casa da parte del governo Letta. Ma introducen­do subito dopo la Tasi si è tornati a colpire le proprietà immobiliar­i (si è passati da 19,5 miliardi del 2013 a 23,2 miliardi di euro del 2014). Tanto che il conto è salito ancora, arrivando nel 2015 a circa 26 miliardi di euro, con un aumento del 288% rispetto al 2011. Nel 2016 ci sarà, invece, un calo del solo 19% grazie alla riduzione sulla prima casa.

“Per il settore immobiliar­e la priorità del governo, checché ne dica l’Ue, non è la riforma del catasto, ma una decisa riduzione del carico fiscale”, tuona Confediliz­ia.

Paradosso fiscale L’equità è garantita solo dalla revisione. Che però farebbe aumentare le tasse

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