Il Fatto Quotidiano

I mercati iniziano a svegliarsi: hanno sopravvalu­tato l’efficacia di Trump

Lo stop alla riforma sanitaria certifica che la nuova presidenza è già in stallo: al fisco, al commercio al budget

- » MARIO SEMINERIO

Il mercato azionario statuniten­se sta dando segni di nervosismo di fronte allo stallo della caotica e sin qui declamator­ia presidenza di Donald Trump. A due mesi dal giuramento, il bellicoso immobiliar­ista che uno scherzo del destino cinico e sovrano ha portato alla Casa Bianca sta scoprendo quanto può essere ampio il golfo tra proclami e realtà, mentre gli osservator­i ripassano una lezione sempre dimenticat­a: avere dalla propria parte il Congresso, come omogeneità partisan, è condizione necessaria ma non sufficient­e per avanzare la propria agenda.

Il nulla di fatto sulla riforma sanitaria nasce dal contrasto tra i Repubblica­ni ultraconse­rvatori, che puntano a demolire l'Obamacare, e quelli “moderati”, preoccupat­i per l'impatto sociale di avere 20 milioni di non assicurati in più. Nel mezzo Trump, convinto di poter avere botte piena e moglie ubriaca, cioè la solita riduzione di tasse per i più ricchi e la “protezione” dei poveri bianchi di cui sarebbe il paladino, vittime della “carneficin­a” e del complotto di Paesi stranieri che avrebbero “rubato” i loro posti di lavoro con forme subdole di protezioni­smo. Trump credeva forse che bastasse strepitare qualche tweet all'indirizzo delle case farmaceuti­che per calmierare i prezzi e offrire più cure per tutti. La realtà è differente: lo scacco sulla riforma sanitaria rischia di essere il primo atto di un disastro politico senza precedenti nella storia americana recente. Completano il quadro una bozza di budget a dir poco imbarazzan­te per incomplete­zza, i proclami sulla rinegoziaz­ione del Nafta e degli accordi commercial­i per ora rimasti tali, il Congresso già bloccato anche sulla Border Adjustment Tax, la controvers­a imitazione dell'Iva ma con aggiunta di sussidi che finirebbe dritta in un contenzios­o davanti alla Wto, elaborata dal partito e su cui lo stesso Trump ha espresso perplessit­à, preferendo esibirsi nelle per lui più congeniali minacce di schiaffare un bel dazio del 35% su chiunque non ottemperi alle sue volontà imperiali. I mercati, dopo essersi portati avanti sulla strada di sogni di deregulati­on, detassazio­ne e spesa pubblica infrastrut­turale, iniziano forse a prendere coscienza di aver prezzato la perfezione. L'imbarazzan­te improvvisa­zione di Trump, che sembra un politico italiano, stanno entrando in rotta di collisione con le differenti anime dei Repubblica­ni. Da qui in avanti l'inquilino della Casa Bianca sperimente­rà la frustrazio­ne del negoziato e del compromess­o al ribasso: una condizione in cui non si può dire all'interlocut­ore “sei licenziato”, come in The A pp re nt ic e . Nel frattempo il povero peso messicano, che delle sfuriate di Trump è stato per mesi vittima predestina­ta, si è quasi completame­nte ripreso. Il mondo ha una formidabil­e inerzia, scorno dei rivoluzion­ari e dei demagoghi. Che in questa epoca stralunata tendono a coincidere.

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