Palermo, debutta il post-Pd La lista a metà con Alfano
Il nome “Democratici e Popolari”. Prove generali per le Regionali di ottobre, quando potrebbe essere candidato il ministro degli Esteri
Quello che è successo a Palermo è il segno di un partito in crisi, un partito prostrato”. Si parla del Pd, e lo dice Andrea Orlando. Lo stesso Orlando ministro della Giustizia nel governo Renzi fino a dicembre (e oggi Guardasigilli sotto Gentiloni): miracoli del Congresso e della politica; le stagioni durano meno degli acquazzoni estivi.
A PALERMO il Pd ha deciso di rinunciare al suo simbolo. Nelle elezioni comunali dell’11 giugno (ieri la data è diventata ufficiale) i dem si fondono con Angelino Alfano: né Partito democratico, né Alleanza Popolare, la nuova creatura nata dalle ceneri di Ncd. Gli alleati di governo si fanno a metà e diventano una cosa sola: si chiameranno Democratici e Popolari. Sulla scheda elettorale ci sarà uno stemma ibrido, che distribuisce equamente le lettere e i colori dei due partiti, con l’aggiunta di quattro stelle in campo blu. Appoggeranno il sindaco uscente Leoluca Orlando in u n’alleanza pigliatutto che tiene dentro anche la sinistra (quella democratica e Rifon- dazione comunista). O meglio: “Una grande coalizione moderata e riformista, in grado di stoppare l’avanzata dei grillini o la restaurazione del centrodestra”, nella definizione enfatica del segretario provinciale del Pd palermitano, Carmelo Miceli. Poco importa che fino all’altroieri i democratici in Comune facessero opposizione e sul sindaco ne dicessero di ogni: i tempi della politica, dicevamo, sono compatibili coi vuoti di memoria. E poi alternative non ce n’erano: Orlando, alla caccia del quinto mandato, è l’unico carro su cui salire per fermare i 5Stelle. Il sindaco però si è rifiutato di associare la sua immagine a quella dei soliti partiti. O meglio: “Voleva enfatizzare il valore civico dell’a ll ea n z a ”, come spiegano con un po’ di imbarazzo dal Nazareno. Dunque, l’abbraccio con Alfano, e una lista iperdemocratica: 20 candidati dal Pd e 20 da Alleanza Popolare.
Sulle prospettive, tra i renziani si registra una certa confusione. Lorenzo Guerini, ex vicesegretario, fa sapere che l’esperimento non si ripeterà in nessun altro territorio. Matteo Orfini – che aveva negato esplicitamente possibili alleanze con il centrodestra alfaniano – spiega che “alleanze territoriali diverse da quelle nazionali esistono da sempre, e le faceva pure il Pci”. Ma il sottosegretario alla Salute Davide Faraone – una delle emanazioni di Renzi sull’Isola – declama il carattere permanente della nuova formazione con parole definitive: “Quello che abbiamo lanciato da Palermo è un esempio di progetto civico che unisce il centrosinistra allargato, cancella le divisioni del passato e mette insieme tutti intorno all’idea di città che vogliamo. Una scelta che rivendichiamo come modello politico moderno e innovativo. Il nostro, in effetti, è proprio il laboratorio politico dell’unione, fortemente contrapposto a quel- lo della divisione che altri predicano”. Anche perché in Sicilia si tornerà a votare a fine ottobre per le Regionali, e il nome di Angelino Alfano circola da tempo come candidato governatore sostenuto anche dal Pd. E allora, laboratorio politico sia.
Le notizie siciliane hanno prodotto una nuova, significativa rottura tra Orlando (Andrea) e il gruppo dirigente di cui ha fatto parte fino al referendum di dicembre. “Io prendo un impegno – ha detto il Guardasigilli – Almeno nei capoluoghi di provincia il simbolo del partito ci sarà. Questo vale per il futuro. Il fatto che a Palermo in questa tornata non ci sia è il segno di una crisi evidente, di un partito prostrato”.
AI FATTI palermitani si è intrecciata la polemica congressuale. Ieri sono stati distribuiti i numeri ufficiosi provenienti dalla commissione nazionale del partito: “Nei primi 1.271 congressi di circolo hanno votato 41.229 iscritti, pari al 59,12% degli aventi diritto. Le schede bianche e nulle sono state 78 e i voti validi 41.151, così suddivisi: Andrea Orlando: 11.108 voti, pari al 26,99% Michele Emiliano: 1.638, pari al 3,98% Matteo Renzi: 28.405 voti, pari al 69,03%”. Ma le cifre sono contestate dal comitato Orlando: “Dobbiamo ancora una volta sottolineare che in tutti questi giorni è mancata un’autorità neutra e credibile che fornisse numeri e dati indiscutibili”. Il ministro, secondo la sua mozione, sarebbe al 31,5%, Renzi al 63,6%, Emiliano, al 4,8 (su un numero leggermente inferiore di circoli scrutinati, 1.070).
Orlando critico
Il Guardasigilli:
“È il segno di un partito in crisi, un partito prostrato”