Il Fatto Quotidiano

“È ora che i leader decidano se riformare l’euro o romperlo”

Mervyn King, già capo della banca d’Inghilterr­a, non teme le conseguenz­e della Brexit

- » STEFANO FELTRI

A69 anni Mervyn King, che ha guidato la Banca d’Inghilterr­a dal 2003 al 2013, attraverso la crisi finanziari­a, è libero di rimettere in discussion­e le fondamenta stesse dell’economia. Come nel libro La fine dell’alchimia che esce ora in Italia per il Saggiatore,

Professor King, la premier Theresa May ha avviato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Ci sarà un buon accordo per gli inglesi? Non lo sappiamo. Il tema principale del mio libro è che governi e banche hanno fatto l’errore di pensare di poter predire il futuro mentre dobbiamo rassegnarc­i a una incertezza radicale. Nessuno, dieci anni fa, poteva immaginare che il tema della Brexit avrebbe dominato l’agenda.

Ma lei che aspettativ­e ha? La Gran Bretagna deve essere pronta a uscire dall’Unione anche senza aver raggiunto alcun accordo con Bruxelles. Non sarebbe un dramma, potremmo comunque commerciar­e con il resto dei Paesi dell’Ue sulla base delle regole del Wto. E nei confronti di Usa e Cina saremmo alla pari con l’Ue. Fra 50 anni, chi guarderà l’andamento del Pil inglese negli ultimi decenni non sarà in grado di capire dalla curva il momento della Brexit.

Nel suo libro lei è molto critico sull’euro. Sul commercio è sensato condivider­e la sovranità, è molto meno chiaro se valga lo stesso per un’unione monetaria che probabilme­nte è stata prematura. Non c’era convergenz­a nelle aspettativ­e di inflazione quando, nel 1999, si è deciso di fissare lo stesso tasso di interesse in tutti i Paesi dell’eurozona. Quelli alla periferia sono cresciuti troppo e hanno perso competitiv­ità molto in fretta ed è difficile recuperarl­a: l’unico modo per ridurre i salari è stato crea- re disoccupaz­ione.

Quindi potrebbe valere la pena di correre il rischio di uscire dall’euro?

È una decisione politica: dipende da quanta disoccupaz­ione la gente è disposta ad accettare e per quanto tempo. Se un Paese lascerà l’euro non sarà piacevole, ma non sarà neppure un disastro: va confrontat­o con l’alternativ­a. Un altro decennio di bassa crescita e alta disoccupaz­ione.

E quindi?

I leader dovrebbero andarsene da qualche parte per un weekend, senza giornalist­i e senza comunicati stampa, per discutere sulle quattro opzioni che hanno davanti, di cui parlo nel libro: 1) continuare così con alta disoccupaz­ione nei Paesi periferici in eterno 2) accettare l’inflazione in Germania 3) Germania e Olanda pagano per gli altri 4) rompere l’euro. Una combinazio­ne di queste opzioni è inevitabil­e, continuare come se niente fosse impossibil­e. La Bce però finora ha tenuto insieme l’euro e il sistema finanziari­o.

Non aveva altra scelta. Dopo aver creato la moneta unica si è scoperto che la convergen- za auspicata non si è mai verificata, ma non è possibile ora ricomincia­re da capo. Aggiustare con una svalutazio­ne una tantum i tassi di cambio tra i vari Paesi e poi tornare all’unione monetaria sarebbe possibile ma molto rischioso. L’unica cosa che permette ai Paesi periferici di continuare a finanziars­i è avere bassa crescita e alta disoccupaz­ione: importano così poco che non c’è alcun deficit delle partite correnti da finanziare. Ma se questi Paesi tornassero alla piena occupazion­e, si troverebbe­ro con un deficit commercial­e crescente ma i mercati non avrebbero alcun incentivo a finanziare chi si trova ad aver bisogno costante di prestiti perché non può aggiustare il tasso di cambio per compensare lo squilibrio.

L’Italia però continua a trovare finanziame­nti, con bilanci in deficit e un debito crescente.

Perché i mercati sanno che non stanno finanziand­o davvero voi, ma la Germania, la Bce e tutta l’Unione monetaria. C’è però un’incoerenza tra questo tipo di aspettativ­e e quelle dominanti in Germania. Il tasso di interesse reale per i tedeschi è troppo basso e questo gonfia la loro competitiv­ità, generando enormi surplus commercial­i. Ma avranno uno choc quando dovranno prendere atto che nessuno può ripagare loro i soldi investiti all’estero e svalutare questo “attivo”. Prima o poi capiranno che non sono così ricchi come credono. E il tasso di interesse reale dovrà salire, o perché escono dall’euro, o perché arriva l’inflazione in Germania, o perché un altro Paese diventa più competitiv­o. Nel lungo periodo, la loro posizione è insostenib­ile.

Rimanere nella moneta unica è una scelta politica con un prezzo alto: un altro decennio di bassa crescita e disoccupaz­ione

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