Il Fatto Quotidiano

Verdone: “Non sono un medico, ma solo un antidepres­sivo”

Carlo Verdone Nella giornata mondiale della depression­e l’artista si confessa: “Ho visto tanti morire, non si deve far finta di nulla”

- » ANDREA SCANZI

“Prima di tutto ci tengo a dire una cosa: non ho mai detto di essere un medico e non mi sono mai finto tale”. Carlo Verdone è un esperto di medicine e conosce la depression­e, anche se non ne ha mai sofferto. Ogni giorno gli amici le telefonano per avere consigli.

A qualsiasi ora del giorno. Anche a cena: con una mano mangio e con l’altra do consulenze. È una passione che ho sempre avuto. Una passione privata. Non ho lauree, formulo solo ipotesi e poi dico sempre di andare da un medico vero. Altrimenti sarei un pazzo. Questa passione mi ha anche procurato la nomea di ipocondria­co.

Lo pensano in tanti.

Non lo sono mai stato. Come non sono mai stato depresso. Ho sofferto di attacchi di panico per sei/sette mesi, nel 1979, quando ho patito il passaggio da ragazzo timido a persona famosa. Ero a inizio carriera e quella nuova vita mi faceva molta paura. Ne sono uscito senza tanti farmaci, ci tengo a dirlo, e con un bravissimo psicologo. Lì sono guarito.

Però nel 1992, tredici anni dopo, è tornato sul tema. Con Maledetto il giorno che ti ho incontrato. In quel periodo avevo una raffica di amici che andavano dallo psicanalis­ta e si riempivano di ansiolitic­i e antidepres­sivi. Era proprio una moda. Ti tradivano? Andavi dallo psicanalis­ta. Ti lasciavano? Andavi dallo psicanalis­ta. Woody Allen, con i suoi film, ci era arrivato come minimo dieci anni prima. Abusare dello p- sicologo è la grande malattia del benessere: una tara dell’Occidente. Un africano non ci va perché ha ben altri problemi: per esempio sopravvive­re. Noi, invece, facevamo psicanalis­i. Per qualsiasi problema.

Oggi capita persino di più. Nella vita reale e in tivù. Basta pensare a In Treatment. Venticinqu­e anni dopo vedo problemi più gravi. Il centro di tutto, la famiglia, è saltato: in casa non ci si parla più. La famiglia è profondame­nte in crisi e da lì deriva tutto. La società attuale ci porta a vedere il futuro non come una promessa, ma come una minaccia. Tanti giovani disoc- cupati perdono persino la voglia di cercare lavoro: si arrendono prima. Sono talmente depressi che neanche ci provano. E invece bisogna lottare: fino in fondo. Anche un attore può essere un antidepres­sivo.

Mi è stato detto, sì. Tempo fa una signora si avvicina: “Mica rifarà un’altra Grande Bellezza?”. Io le chiedo se quel film non le fosse piaciuto. La signora, poco convinta: “Ma sì, però lei deve fare le commedie. Mica posso privarmi del mio antidepres­sivo personale. Non faccia cazzate, Verdone”.

Una bella soddisfazi­one. E una bella responsabi­lità. Negli ultimi due anni ho visitato tanti malati, spesso molto gravi. Quasi tutti non ci sono più. È una cosa che ti fa male, ma che ti fa anche sentire utile. Provo a regalare un po’ di sorriso e un po’ di malinconia, perché di sicuro nei miei film c’è anche quella. Qual è la migliore pillola antidepres­siva creata da Verdone?

Proprio Maledetto il giorno che ti ho incontrato. Io e Francesca Marciano abbiamo scritto un film molto intelligen­te. È una grande dichiarazi­one di debolezza dei due protagonis­ti, che porta lo spettatore a non fare l’eroe ma ad ammettere i propri problemi. Per me e Margherita ( Buy, ndr) più che un film fu una gigantesca operazione di autoanalis­i: ci siamo raccontati e messi a nudo.

È il consiglio che dà a chi è depresso?

Esatto: non fare finta di nulla e raccontare i propri problemi. Magari a un amico, che può davvero essere un tesoro. Mi terrorizza chi si cura da solo e abusa dei farmaci. Le benzod iazep ine sono una grande invenzione, ma bisogna dar retta a Carlo Linneo: i farmaci migliori vanno usati poco e per poco tempo. Mi ha colpito lo studio recente di un’anziana scienziata di Newcastle.

Cosa diceva?

Ha preso in cura cento persone che usavano, anzi abusavano di un noto ipnoinduce­nte e di un famoso antipanico. Più li usavano e più ne avevano bisogno. Per disintossi­carli tutti ci ha messo un anno. Un anno intero. Alla fine ha usato queste parole: “Sarebbe stato più facile disintossi­care dei dipendenti da cocaina”.

Una signora mi ha detto: ‘Non farà mica un’altra Grande bellezza? Deve farmi ridere, non faccia cazzate’

 ??  ??
 ?? Ansa ?? Nella casa di Albertone Qui, Carlo Verdone in una delle stanze della villa in cui Alberto Sordi visse dal 1958 a Roma
Ansa Nella casa di Albertone Qui, Carlo Verdone in una delle stanze della villa in cui Alberto Sordi visse dal 1958 a Roma
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy