Un colpo per sparigliare e unificare il Paese
La Casa Bianca e il doppio effetto: intimorire gli avversari con il patriottismo
Un
atto isolato, nelle intenzioni americane, ma che innesca reazioni difficilmente prevedibili e che allontana, almeno nel breve termine, una soluzione negoziata della crisi siriana: ieri sera, l’attacco era già acqua passata, per il presidente Usa Donald Trump, che non vi fa neppure cenno nella conferenza stampa a chiusura di due giorni di colloqui con il presidente cinese Xi Jinping, testimone involontario della prova di forza statunitense. Un colpo e basta, tanto per fare vedere che ne sono capace; e per impressionare e intimorire gli interlocutori, amici o nemici che siano.
CON L’ATTACCO alla Siria, il magnate presidente fa per la prima volta sfoggio sulla scena mondiale degli istinti muscolari che tante volte ha già mostrato in politica interna: in 72 ore, confermando la propria imprevedibilità, Trump ha ro- vesciato la propria posizione sulla Siria – da “affari loro” e da “il cambio di regime non è una priorità” all’interventismo unilaterale; ha segnato una linea di frattura fra Usa e Russia; ha raccolto il plauso di Israele, della Turchia e dell’A r ab i a Saudita, e le critiche dell’Iran; tutto senza avvicinare a una soluzione l’intreccio di crisi nel Medio Oriente.
In chiave interna, Trump ha voluto marcare la distanza con il suo predecessore Barack Obama, che nel 2013 lasciò impunemente violare in Siria la linea rossa delle armi chimiche. In chiave esterna, la mossa impressiona più gli amici che i nemici. Concordi, Francia e Germania additano nel presidente siriano al-Assad “il solo responsabile” di quanto accaduto, perché “chi usa i gas non ha attenuanti”. Dalla passiva acquiescenza europea, scaturisce una nostalgia della Vecchia Europa, quando Francia e Germania seppero dire no all’invasione dell’Iraq. La Russia denuncia l’aggressione contro uno Stato sovrano – “È come l’Iraq” - e la vio- lazione del diritto internazionale con un falso pretesto – i gas di Idlib non sarebbero opera intenzionale dei lealisti siriani - e pronostica “rapporti più difficili” in futuro tra Washington e Mosca.
L’EQUAZIONE Iraq 2003 = Siria 2016 non è proprio esatta: allora, le armi di distruzione di massa erano un’invenzione; ora, sono state usate (da chi, come e perché resta da accertare); allora, ci fu un’invasione e un cambio di regime; oggi, un attacco senza seguito. Ma quanto avvenuto complica la ricerca di una soluzione negoziata al conflitto siriano. Negli Usa, monta la consueta ondata di solidarietà nazionale che s’alza quando “il Paese è in guerra”. Ma se lo speaker della Camera Paul Ryan e il senatore John McCain approvano, deputati e senatori, anche repubblicani, avvertono che il presidente deve consultare il Con- gresso, se vuole impegnarsi in un conflitto. Ci sono voci critiche, come quella del senatore libertario, già candidato alla nomination democratica, Paul Rand. E, a sorpresa, Trump incassa l’inatteso e fortuito sostegno di Hillary Clinton, che, prima dell’attacco e all’oscuro dei piani, ricorda d’essere stata favorevole a un maggiore coinvolgimento in Siria, quand’era segretario di Stato. Ma l’intenzione del presidente non è questa: battuto il suo colpo; soddisfatte le istanze presenti ovunque da “occhio per occhio, dente per dente”; gratificato il suo ego da sceriffo del deserto; (mal) impressionato l’ospite cinese Xi Jinping, con cui cenava mentre i Tomahawk piovevano sulla Siria; e distratta un po’l’opinione pubblica nazionale dalle beghe interne; adesso tornerà a occuparsi d’altro.
La nostra azione è stata molto misurata e siamo pronti a fare di più, ma speriamo che non sia necessario
NIKKI HALEY