La sindrome del tir-killer Stoccolma, quattro morti
Un camion rubato contro la folla: “È terrorismo”. Preso un uomo: “Ha confessato”
Ètoccato alla Svezia. Un attacco nel cuore della capitale, nell’ora e nel punto di maggior traffico stradale e pedonale, perché i servizi e gli uffici chiudono alle 14 di venerdì. Il primo allarme alla polizia scatta alle 14.53. Un camion che trasporta birra, rubato poco prima durante una consegna a un bar, deviando dalla centralissima Kungsgatan, si lancia sulla lunga bretella pedonale, Drottninggatan, che interseca e collega la città vecchia con la faccia moderna e commerciale di Stoccolma. Il mezzo colpisce a livello di un negozio del maxi centro commerciale Åhlens, uno delle maggiori catene di distribuzione a largo spettro, e il cui reparto di profumeria si affaccia direttamente ad una delle uscite della stazione centrale della metropolitana, a sua volta collegata con la stazione ferroviaria, bus e corriere.
L’ATTENTATORE riesce a dileguarsi. Un uomo sarà catturato ore dopo a nord di Stoccolma, per la prima volta nella storia del terrore in Svezia, vivo. E, secondo la polizia, ha rivendicato l’attentato. Quattro i morti, nove i feriti.
Il modus operandi ricalca i fatti di Nizza, Berlino, Londra, come un macabro codice di riconoscimento, con il furto di un mezzo che poi viene lanciato sulla folla inerme, mentre si raccoglie per un evento o un rito sociale. In assenza di rivendicazione, appena un’ora dopo il fatto, il premier Stefan Lòfven ha parlato di attentato terroristico.
Nelle ore della caccia all’uomo si diffonde il panico e vengono registrate alcune sparatorie. Panico e incredulità, per quei cittadini certi di vivere in un luogo sicuro. La città è pa- ralizzata, bloccata tutta la viabilità e la ricca rete di mezzi pubblici. Gli agenti, da mesi sotto organico e privi di adeguata formazione, transennano tutta l’area, ma non riescono a mantenere la calma: dalle volanti urlano alla gente di allontanarsi dalle strade e testimoni sostengono di aver sentito poliziotti gridare “state attenti al terrorismo”. Quanti si trovano ancora al lavoro o nei negozi, vengono invitati energicamente a restare negli edifici, di fatto barricati. Tra questi anche il personale di uno dei maggiori centri di ricerca al mondo, il Karolinska Institute, a Solna, nella prima cintura della città.
È SUCCESSO a Stoccolma, nell’ora della passerella davanti le vetrine, quando passanti e turisti mangiano il korv, il tipico panino con würstel e salse, venduto nei chioschetti, uno dei quali è stato travolto dal camion nell’attentato. Un attacco al cuore della Svezia. Per la prima volta si potrà chiedere all’autore, perché. Integralismo islamico o il gesto di un folle emulo? Rabbia incancrenita nelle popolose e misere banlieue, dove vivono immigrati e rifugiati respinti, sfuggiti all’espulsione, o un movente completamente diverso? È stato colpito il Paese che da trent’anni accoglie il maggior numero di rifugiati pro-capite d’Europa, ma che ora non ha più le risorse necessarie. Che nel corso dell’ultimo esodo biblico, ha dovuto ripristinare i controlli ai confini ma eliminati nel resto della Scandinavia. Ha decurtato i finanziamenti per i servizi ai richiedenti e agli immigrati, rimpatriato migliaia dei 160 mila rifugiati giunti nel solo 2016. Era un obiettivo prevedibile Stoccolma? Il livello di sicurezza era elevato, assicura la Polizia Segreta. Da oggi però, quale che sia la matrice dell’attacco, crolla quell’intimo sentire antropologicamente tutto svedese, che il loro sia un Paese sicuro, lontano da quel resto d’Europa che non è il Nord, tranquillo e distaccato dalle brutture. Stoccolma e la Svezia si svegliano oggi con una nuova, amara consapevolezza. La vulnerabilità. Il terrore c’è e può colpire anche il Nord, come sette anni fa.
Caccia serrata L’assassino si dilegua, si diffonde il panico, poi la polizia annuncia l’arresto Il Paese ferito Finisce il sogno dell’invulnerabilità e si inasprisce il confronto sull’immigrazione