Il Fatto Quotidiano

Italia, il Paese che cammina nel sonno (tra le urla dei partiti) Feltri-Montanelli-Delbecchi: opinioni di un montanelli­ano

- ROBERTO C. LEONARDO AGATE MIMMA VINCENZO TURBA PAOLO CHIARIELLI FQ

Scrivo in riferiment­o all’a rti co lo “Sanità, sprechi e ruberie. Corruzione in una Asl su 4” a firma di Ferruccio Sansa.

Ho letto attentamen­te l’articolo, ma rimango un pessimista colmo di rabbia e di impotenza. Tra tutte le indagini accertate dai vari organismi, tra questi la Trasparenc­y non governativ­a non è mutato alcunche. Non si riesce a capacitarc­i della assoluta carenza di altri organismi che riescano a debellare tale degrado. Insomma questo stato di cose lo dobbiamo subire perché il nostro sistema politico è ammantato di democrazia. Per non girare attorno al grave problema che si ripercuote in tutti i settori economici pubblici e politici, potremmo rifarci all’organizzaz­ione Fbi il cui preposto era Hoover, ma con un “organismo parallelo più aggiornato ed elaborato”. Poi sorgerebbe un altro problema più delicato, chi controlla l’Hoover di turno? Comunque le sole denunce non bastano. In un Paese come il nostro, la cui tessitura sociale non esiste più, le inchieste sono soltanto gore che alimentano un mulino che macina il nulla. Ho letto il botta e risposta di Vittorio Feltri, Indro Montanelli e Nanni Delbecchi: del “principe dei giornalist­i” conosco molto, l’ho seguito sin dai tempi in cui cominciò a pubblicare a puntate sulla Domenica del Corriere la Storia dei greci. L’ho letto sul Corriere della Sera e ho quasi tutti i suoi libri, tra cui la “Storia d’Italia”. Ho comprato il Giornale da quando l’ha fondato fin quando non l’ha lasciato. Conosco i motivi che l’hanno spinto ad abbandonar­e il Corriere della sera, prima, e il Giornale poi. Mi sento insomma un “m on ta nel li an o” di vecchia data. Tanti i giornalist­i che si dichiarano suoi allievi, ma non vi trovo né l’eleganza né l’acume del maestro. Il fittizio processo a Indro- Vittorio mi sembra riuscito, a leggere anche il resoconto di giovedì di Nanni Delbecchi.

Nella lettera di Vittorio Feltri di ieri, pubblicata dal Fatto Quotidiano, è spiegato l’intento burlesco del processo. La risposta di Delbecchi, non me ne voglia, mi ha un po’ deluso. Resto comunque un assiduo e appassiona­to lettore del vostro giornale e solo se proprio è terminato ne compro, controvogl­ia, altri. Ad maiora ! CARO FURIO COLOMBO, ogni tanto i numeri della nostra economia deludono, ogni tanto illudono. Ma il fenomeno dipende dalla manipolazi­one, non dalla realtà. Per il resto, silenzio. DICIAMO CHE IL SILENZIO è interrotto da grida che però riguardano questioni interne ai singoli partiti. Quasi sempre qualcuno vuol far notare che se ne va, e il più delle volte non c’è nessuno a salutare e nessuno ad accogliere. Quanto a ciò che riguarda decisioni politiche, decisioni economiche, rapporti con gli altri Paesi, dentro o fuori la Comunità di cui siamo parte, non vola una mosca. Nel nostro Paese da anni, ormai, non nascono idee, si chiudono fabbriche più per inerzia che per crisi economica. Tutti ti dicono che i capitali ci sono ma nessuno li muove. Tipico il caso di Termini Imerese, che langue tra la fine della Fiat e l’inizio della tanto discussa auto elettrica, e gli operai del più grande centro industrial­e della Sicilia sono ancora in cassa integrazio­ne. Ingiusto dire che il fermo di fabbriche come quella sono l’effetto della crisi. Più corretto dire che sono la causa, un grande fermo che è più di natura psicologic­a che economica e che si rappresent­a in una sorta di vuoto. In quel vuoto, chi è povero resta povero e chi ha un minimo di agio non vuole rischiare. C’è molto tempo libero e dunque si susseguono molte analisi, ma tutte con un metodo sterile diventato comune, anche perché bisogna stare lontani dalle ideologie. L’idea è scomporre il Paese e i suoi problemi in pacchetti separati, che formano anche il grosso del lavoro giornalist­ico quando il mondo non fa incursione con eventi tragici. Ogni giorno in Siria, Iraq, Afghanista­n, Palestina si spengono tragicamen­te vite umane, vengono distrutte case, interi quartieri, si compiono dei veri genocidi, spesso ricorrendo a kamikaze che urlano al mondo il loro odio. Verrà fermato e ( da chi?) questo franare del mondo verso il baratro da cui non potrà più risalire? Costernazi­one ed una giusta condanna della violenza da parte del volgo e le varie istituzion­i seguono sempre questi tragici eventi, a cui però poi fa da controalta­re un’insufficie­nte comprensio­ne, se non insofferen­za, verso la biblica emigrazion­e che ne è diretta conseguenz­a. Dovremmo tenere conto dell’invasione, per non dire aggression­e, commercial­e e culturale dell’Occidente verso il Medio Oriente. Non è forse derivata da qui una certa avversione verso Un pacchetto sono i giovani. È importante elencare che cosa tutti noi dovremmo fare per loro, se non altro come “staffetta generazion­ale”, per poi passare ad altro. Un pacchetto sono i pensionati. Aumentano per ragioni naturali, ma vengono osservati con lo stesso sguardo dedicato all’emigrazion­e: sono troppi.

Un pacchetto è il lavoro. Viene presentato nella doppia versione della crisi: ce lo portano via gli immigrati. Ce lo portano via i robot. Il lavoro, come ha dimostrato Roosevelt ai tempi del New Deal, non viene da solo. Devi scuotere l’albero del privato e mettere in moto il lavoro pubblico.

Qui però non si tratta di sdottrinar­e sulle giuste soluzioni (che non abbiamo, anche se abbiamo il Jobs act). Si tratta di alzare la voce nel vuoto e nel silenzio solo per chiedere: “C’è nessuno?” al nostro Paese, ai nostri partiti, ai nostri intellettu­ali, al nostro governo. Succede che, non appena la gente comincia a notare il vuoto, subito esplodono dibattiti che coinvolgon­o tutti (governo ed esperti inclusi) su grandi questioni come la legge elettorale e la democrazia diretta.

La prima dovrebbe dirci come si vota.

La seconda come si governa.

Pare che il primo caso (legge elettorale) spetti tutto ai partiti. E il secondo (democrazia diretta o digitale) debba rimettere tutto nelle mani dei cittadini. Per un po’ avremo l’impression­e che la scena sia affollata, attiva e brulicante di fervore. Aiuta a non pensare a Termini Imerese.

00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquo­tidiano.it modi di pensare e stili di vita molto distanti da quelli occidental­i? E con questa insofferen­za non è forse cresciuto, il fondamenta­lismo islamico?

E l’insensata invasione dell’Iraq e dell’Afghanista­n, architetta­ta a tavolino da Tony Blair e Bush jr, quale pretestuos­a risposta all’attacco delle Torri gemelle, senza ricorrere invece a un’azione di Intelligen­ce volta a individuar­e e colpire i responsabi­li, non è stato forse l’inizio di una delle guerre più devastanti della storia recente?

La stampa libera da condiziona­menti imposti dalle forze solidali ha il compito, se non il dovere, di fornire all’opinione pubblica una realistica quanto veritiera versione dei fatti circa quello che succede e le cause scatenanti alla base di una così grave e pericolosa situazione mondiale. Per capire bene l’impre ssiona nte successo di Renzi al congresso, a cui fa eco la speranza, non del tutto priva di senso, espressa da Andrea Orlando di un ribaltamen­to dei risultati alle primarie, bisogna analizzare i numeri. Circa 46 mila gli iscritti al Pd, suddivisi in seimila circoli, per la quasi totalità diretti da renziani: si contano in media alcune decine di iscritti ed è immaginabi­le che abbia avuto successo il controllo sui poco più della metà di coloro che hanno esercitato il diritto di voto. Questo controllo non sarà più possibile il 30 aprile, e quindi auguri per Orlando ed Emiliano. Non sappiamo, però, se per il Paese sia più utile un chiaro Partito di Renzi oppure la rimanenza del solito equivoco Pd a vocazione maggiorita­ria. Non avrei mai immaginato una sinistra italiana così trasformat­a. De l l’autolesion­ismo si è sempre intravisto, ma ora la realtà ha superato la fantasia. Credo che Renzi verrà confermato segretario al congresso: quello che non capisco è la mancanza di analisi degli ultimi anni. Quando gli hanno fatto notare la scarsa affluenza, ha risposto che la partecipaz­ione è in linea con quella dei principali partiti della sinistra europea. La sua “te oria ” è sempre la stessa: non è stato capito dagli italiani. Ricorda Craxi negli anni ottanta per cui “la nave andava”, quando invece il debito pubblico cresceva a dismisura. La storia si ripete: anche allora si preferiva attaccare i sindacati mentre non si agiva sull’evasione fiscale, che secondo recenti studi vale da sola come due o tre finanziari­e. Temi questi di “si nist ra”, ma forse ora si andrebbero a toccare categorie o interessi scomodi .

Furio Colombo - il Fatto Quotidiano

I NOSTRI ERRORI

A proposito dell’inchiesta sulla tesi di Marianna Madia, precisiamo che il professor Giampiero M. Gallo ha collaborat­o con il governo Renzi, ma non con il governo Gentiloni.

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