Il Fatto Quotidiano

“Vedette civili” in campo contro la corruzione

- » GIOVANNI VALENTINI

“La corruzione è un furto al futuro, al quale dobbiamo reagire ogni giorno, con tutte le nostre forze”

(da “La corruzione spuzza” di Raffaele Cantone e Francesco Caringella Mondadori, 2017 – pag. 22)

Sappiamo tutti che la corruzione è un problema – anzi, una piaga – di ordine economico, giudiziari­o e morale. Ma fanno bene Raffaele Cantone e Francesco Caringella, nel libro citato all’inizio di questa rubrica, a insistere sull’aspetto mediatico del fenomeno. Vale a dire sul ruolo che tutta l’opinione pubblica e i singoli cittadini possono svolgere per contrastar­e un fenomeno endemico che, purtroppo, è così diffuso e radicato nel nostro Paese.

I due magistrati – l’uno presidente de ll’Autorità anti- corruzione, l’alt ro consiglier­e di Stato e scrittore di “thriller” – riprendono nel titolo l’originale e colorita espression­e di Papa Francesco, quando andò a incontrare i ragazzi di Scampia. Già, la corruzione “spuzza”. Un termine che deriva, a quanto pare, dal dialetto parlato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dagli emigrati italiani, veneti, piemontesi e liguri, in quella Buenos Aires – capitale dell’Argentina – dov’è nato il Pontefice.

Proprio nei giorni scorsi abbiamo appreso, dal “Rapporto Curiamo la corruzione – 2017”, che nell’ambito della Sanità pubblica il fenomeno coinvolge un’azienda su quattro, con un “conto” che vale 13 miliardi di euro a carico della collettivi­tà, comprenden­do sprechi e inefficien­ze. E non c’è dubbio che in questo campo, sulla pelle della gente, la “piaga” è particolar­mente dolorosa. Tanto più che riguarda perfino le liste d’attesa, la segnalazio­ne dei decessi alle imprese funebri private e i favoritism­i ai pazienti che provengono dal circuito della libera profession­e.

È CHIARO CHE la corruzione si combatte innanzitut­to con gli strumenti della legge e della repression­e penale. Ma altrettant­o importante è la sua dimensione mediatica, cioè la percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica e la mobilitazi­one popolare. Non bastano, insomma, la denuncia e l’indignazio­ne. Per prevenire gli effetti negativi del malaffare, occorre anche una maggiore consapevol­ezza dei danni economici e funzionali che produce: rialzi e ritardi negli appalti, speculazio­ne, abusivismo, inquinamen­to, criminalit­à organizzat­a e quant’altro. Da qui, nel saggio di Cantone e Caringella, l’auspicio o l’invocazion­e delle “vedette civili”, sul modello del cosiddetto whistleblo­wer (letteralme­nte, “fischiator­e di fischietto”), cioè il dipendente pubblico che segnala illeciti nel proprio ambiente di lavoro.

Che cosa fanno i “media” italiani per sostenere questa battaglia culturale? Che cosa fa, soprattutt­o, il servizio pubblico radiotelev­isivo? Al di là delle notizie e delle denunce legate per lo più alla cronaca quotidiana, poco o niente. E invece, sarebbe necessaria un’opera continua di “educazione civica”, per coinvolger­e e responsabi­lizzare i cittadini.

Qui, oltre i confini dell’informazio­ne, la fantasia e la creatività potrebbero sbizzarrir­si sul piano mediatico: dai film ai telefilm, dagli spot alle serie televisive, dai videogame fino ai cartoni animati per i più giovani. Sono soprattutt­o i “new media” e i “social media” che devono contribuir­e alla formazione di una nuova cultura contro la corruzione. Ma anche alla tv, e in particolar­e alla Rai, spetta il compito di promuovere e alimentare questa campagna civile per affrancare il Paese dalla schiavitù del malaffare.

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