Il Fatto Quotidiano

L’Arci ha sessant’anni La sinistra che festeggia se li porta davvero male

N’associazio­ne che dichiara 1 milione di iscritti, 8 correnti politiche in cerca di voti

- » TOMMASO RODANO

L’intento è nobile, il risultato un po’ meno. L’Arci festeggia i 60 anni della sua attività associativ­a e riunisce tutte – ma proprio tutte – le schegge piccole e meno piccole della sinistra politica italiana. Si trovano insieme sullo stesso palco, quello del teatro Orione di Roma, tra strette di mano, sorrisi e applausi di circostanz­a.

INSIEME alle sessanta candeline, i numeri di Arci sembrano mostrare che fuori dai palazzi, una parte della società “progressis­ta” è ancora in discreta salute, e persino in grado di trovare spazi comuni: i circoli in tutta Italia sono 4.723, le tessere superano il milione (1.075.980).

Poi c’è la sinistra dei partiti. Ieri a portare il loro omaggio all’Arci c’erano: un radicale di centrosini­stra ( Riccardo Magi), il più di sinistra tra i renziani ortodossi ( Matteo Orfini), il candidato di sinistra alla segreteria del Pd ( Andrea Orlando), l’altro candidato ancora più di sinistra alla segreteria del Pd ( Michele Emiliano , intervenut­o via telefono per l’infortunio al tendine d’Achille), il giovane leader della sinistra del Pd che si è appena scissa dal Pd ( Roberto Speranza), il giovane leader del partito alla sinistra del Pd noto come Sinistra Italiana ( Nicola Fratoianni ), l’ex segretario del partito che a tutt’oggi si de- finisce “della Rifondazio­ne Comunista”( Paolo Ferrero), l’ex sindaco di Milano che ambisce a tenere insieme tutti (o quasi) i pezzi della sinistra di cui sopra ( Giuliano Pisapia).

L’effetto di vederli sul palco (divisi in due turni) è piuttosto straniante. Anche perché dopo i saluti e i ringraziam­enti ad Arci e le belle parole sul bisogno di “ascolto” reciproco, di “inclusione” e“rappresent­anza”, di tanto in tanto capita di inciampare su qualche argomento concreto. E per magia si torna al punto di partenza: correnti, micro e macro partiti della sinistra italiana non vanno d’accordo praticamen­te su nulla.

Prendiamo Andrea Orlan- do. Il ministro della Giustizia ha l’ambizione legittima di spostare l’asse del Pd renziano per riportarlo nel campo del centrosini­stra.

Il suo intervento di fronte a una platea di potenziali elettori è lucido, convincent­e, progressis­ta. Si prende un sacco di applausi. Ma Orlando ha un problema: i decreti Minniti sull’immigrazio­ne e “il decoro urbano” – quelli, per semplifica­re, che creano una giustizia parallela per i richiedent­i asilo e pretendono di far pagare multe da centinaia d’euro a chi dorme in stazione – portano anche il suo cognome. Proprio così: lui non ne parla molto, e tutti li accreditan­o al ministro dell’Interno, ma quelle due leggi che occhieggia­no al salvinismo si chiamano “Minniti-Orlando”. La disgrazia è che qualcuno glielo fa notare. Appena finiti gli applausi per il Guardasigi­lli, prende la parola Fratoianni: “Lo chiedo all’autore dei decreti, che per coincidenz­a è presente: che cosa è successo alla cultura di sinistra, se invece di fare la guerra alla povertà si fa la guerra ai poveri? Queste norme prevedono istituti incompatib­ili con la civiltà”. Il pubblico forse era distratto, applaude ancora, e più forte di prima.

SI VA AVANTI così, tra piccole rimozioni e un senso di dissociazi­one generale. Orfini e Speranza, freschi di divorzio, siedono accanto e salgono sul palco insieme. E pure al primo, per osmosi o per questione d’opportunit­à, esce qualche parola “di sinistra”: contro le privatizza­zioni ventilate da Padoan e contro la conferma di Gianni De Gennaro a Finmeccani­ca ( un suo vecchio cavallo di battaglia rispolvera­to dopo il mea culpa del governo su Bolzaneto). Poi cala il sipario, e ognuno per la sua strada.

Lo chiedo a Orlando: che succede alla cultura di sinistra per produrre decreti come il suo?

NICOLA FRATOIANNI

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LaPresse Celebrazio­ni La festa per i 60 anni dell’Arci ieri al nuovo teatro “Orione” di Roma. In alto, Giuliano Pisapia

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