I giudici spengono Uber: “Illegale”
Dopo quello di Milano su Uber Pop, il Tribunale di Roma accoglie il ricorso dei tassisti: fa “concorrenza sleale”. Esultano le sigle delle auto bianche. Gli americani: “Allibiti, ricorreremo”
Era
ora che lo facessero: ogni tanto c’è giustizia pure per noi. Scioperare mi sembra sia servito”. Cristian Falcone, 32 anni, è un tassista di Roma. E lo è da undici anni. “Per me - spiega - non è giusto che a una società come Uber che paga le tasse all’estero sia permesso di toglierci il lavoro. Non è giusto che noi possiamo circolare solo nel comune dove abbiamo preso la licenza, ma dobbiamo poi essere in concorrenza con chi l’autorizzazione l’ha comprata di straforo, presa per dire in un piccolo comune del Molise, prima di decidere di venire a fare fortuna a Roma”.
Ieri, il Tribunale di Roma ha ordinato il blocco entro dieci giorni di Uber Black, le berline nere con autista attive a Milano e a Roma. Si trattava, con le sue varianti in base al modello dell’auto, dell’ultimo servizio di Uber rimasto attivo in Italia dopo la chiusura, due anni fa, di UberPop (che invece permetteva a chiunque di dare passaggi in formato taxi per arrotondare): il tribunale ha accolto il ricorso per concorrenza sleale delle associazioni di categoria dei tassisti, assistite da un pool di le- gali coordinato dall’avvocato Marco Giustiniani dello Studio Pavia e Ansaldo. Ora l’azienda dovrà sospendere Uber Black nei tempi indicati, altrimenti rischia una multa di 10mila euro al giorno.
SECONDO IL TRIBUNALE, la norma del 2008 che regola il servizio di trasporto non di linea e che prevede molte restrizioni per gli autisti Ncc (chi in pratica fino ad oggi offriva il servizio per Uber) - come l’obbligo di rientro in rimessa dopo ogni corsa o il dover sottostare alle restrizioni comunali - sarebbe sempre stata in vigore nonostante negli ultimi otto anni non siano mai stati emanati i decreti attuativi a carico del ministero dei trasporti (“disposizioni per impedire pratiche di esercizio abusivo di taxi e noleggio” e “indirizzi generali per la programmazione”). E nonostante l’ennesimo emendamento (stavolta a firma Linda Lanzillotta, Pd) che, nel Milleproroghe, rimandava al 31 dicembre 2017 il termine entro il quale il ministero dei Trasporti avrebbe potuto emanarli. Insomma, secondo i giudici anche senza quei decreti la legge c’è lo stesso e deve essere applicata. “Dal quadro normativo - si legge poi nella sentenza - emerge innanzitutto il carattere locale di entrambi i servizi, non solo quello di taxi. E si evince in primo luogo dalla previsione di affidare ai comuni l’elaborazione dei regolamenti”. La legge, pur senza decreti, prevede l’obbligo di rientro in rimessa per gli Ncc, una rimessa che sia quindi necessariamente nel comune dell’autorizzazione e dove devono obbligatoriamente arrivare le chiamate dei clienti. Uber, invece, dava la possibilità agli Ncc di ricevere chiamate ovunque, proprio come i taxi. Ora, secondo gli avvocati dei tassisti, neanche il decreto allo studio del ministero dei trasporti - che dovrebbe accontentare tutti - potrebbe modificare la situazione. Tanto che la bozza, seppur con alcune deroghe, tiene fermi i punti fondamentali della legge, primo tra tutti l’obbligo di rientro in rimessa.
Il decreto
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