Hanno tutti torto
Il bello, anzi il brutto, è che hanno tutti torto. Ha torto marcio anzitutto il presidente siriano Bashar Assad, rieletto nel 2014 con elezioni-farsa e riverginato dal suo ultimo travestimento di alleato di Russia e Occidente nella guerra al sedicente “stato islamico” Isis (o Daesh), che peraltro deve il suo consenso anche all’esistenza di tiranni come lui. Che l’ordine all’aviazione siriana di attaccare il villaggio ribelle di Khan Sheikhoun con armi chimiche gasando 59 civili fra cui molti bambini l’abbia dato lui o qualche caperonzolo fuori controllo del suo esercito “regolare” (in realtà un’accozzaglia di bande perlopiù mercenarie), poco importa: le stragi con i gas sono una tradizione di famiglia, un’usanza della casa. Non solo ai tempi di suo padre Hafez, ma anche ai suoi. Obama, nel 2013, subito dopo l’accordo-burla “garantito” dalla Russia per lo smantellamento degli arsenali e laboratori non convenzionali siriani, gli aveva imposto una “linea rossa” varcata la quale sarebbe scattata la punizione: dopodiché le sue truppe la varcarono pochi mesi dopo con una strage di civili con i gas molto più grave dell’ultima. Obama parlò di “atto inaccettabile”, ma non intervenne. E legittimò Assad o chi per lui a riprovarci.
E ora, paradossalmente, tocca proprio all’arcinemico di Obama, Donald Trump, che all’epoca intimava al “nostro stupidissimo presidente” di star lontano Siria, il compito di far rispettare quel confine più volte impunemente violato. Il che, se il blitz resterà una cowboyata isolata (ma è improbabile, visti i miseri risultati militari), potrebbe persino prosciugare uno degli argomenti più efficaci del reclutamento dell’Isis presso i sunniti, cui veniva raccontato che gli Usa li avevano scaricati a vantaggio degli sciiti (prima l’eliminazione di Saddam e la loro cacciata dalla stanza dei bottoni di Baghdad, poi la mano libera ai massacri di Assad). Insomma, come nel famoso detto cinese, quando vai in Siria bastona Assad: tu non sai perché, ma lui sì. Stiamo parlando di un criminale di guerra e anche di pace, che da 46 anni comanda ferocemente su un paese in gran parte ostile per conto di una minuscola setta (gli alawiti) con metodi sanguinosi e impuniti, culminati nella rivolta dei ribelli (qaedisti, jihadisti, curdi ecc) e nelle repressioni che da sei anni affogano il Paese nel sangue della guerra civile: mezzo milione di morti (da Aleppo in giù), centinaia di migliaia di feriti e mutilati, 8 milioni di profughi verso l’Europa e sfollati interni su 20 milioni di abitanti.
Ma ha torto naturalmente anche Trump.