Nella Stoccolma del melting-pot lacrime senza paura
Omaggio di tutte le comunità alle vittime del tir. L’uzbeko arrestato (insieme a 3 presunti complici) era noto agli 007
Giovani di colore, ragazzi dai capelli biondi o rossi, donne col velo, abiti occidentali, occhi a mandorla, tratti mediterranei. Per la Svezia è sempre stata quotidianità la contaminazione etnica, fisiologica conseguenza di una lunghissima tradizione di immigrazione e integrazione. Ora però colori e culture si mescolano nel pellegrinaggio per rendere omaggio alle vittime dell’attacco di venerdì pomeriggio, nel cuore di Stoccolma. Facce comuni insieme ai Reali di Svezia, al premier Stefan Lòfven. Un camion rubato è stato lanciato nell’intersezione tra le centralissime vie della capitale, Drottingatan e Kungsgatan, nel momento di massimo flusso stradale e pedonale. Quattro i morti, 15 i feriti di cui 5 già dimessi. Tra quanti restano in ospedale 5 sono gravi, 2 gravissimi. Il primo arresto è scattato dopo poche ore. Un 39enne proveniente dall’ Uzbekistan, già noto alle forze di sicurezza sia di questo Paese, che lo ha considerato figura marginale, che di quelle svedesi. L’uomo è sospettato di essere l’autore materiale dell’attentato e a bordo del mezzo è stato trovato anche dell’esplosivo, a quanto pare una bomba artigianale. Ieri sera con un blitz anti-terrorismo nel sud di Stoccolma, la polizia ha arrestato 3 presunti complici dell’uomo.
Ancora da chiarire la matrice dell’attentato, mentre proseguono le indagini su altri sospettati. Di certo per la Svezia, che finora ha vissuto nell ’ incanto di un mondo protetto, di un equilibrio tutto suo, si è svegliata in una realtà diversa, chiedendosi se ora la paura non avrà la meglio, se le pance non vinceranno sulle teste, in un Paese in cui convivono 149mila siriani, 135mila iracheni, 70mila iraniani, 66mila provenienti dall’ex Jugoslavia, 58mila dalla Bosnia-Erzegoniva, 63mila somali, 47mila turchi. La maggior impennata d’arrivi rispetto l’anno precedente spetta alla Siria, con un aumento di 51mila presenze. Una convivenza non sempre facile, perché non tutti hanno trovato una dimensione in questo Paese tanto accogliente quanto particolare.
LE BANLIEUE della capitale ciclicamente implodono sotto la pressione di mancanza di lavoro, sovvenzioni tagliate e guerriglie urbane tra bande rivali che si contendono i traffici illeciti. Ma sono moltissimi quelli che in Svezia hanno trovato un buon posto di lavoro, hanno potuto completare gli studi, soddisfare aspirazioni personali. Tante sono anche le atti- vità commerciali gestite da stranieri, come i negozi di souvenir proprio a ridosso del luogo dell’attacco.
Il giorno dopo l’incubo le transenne che delimitano il luogo dello schianto vengono ricoperte di fiori da centinaia di cittadini di ogni colore ed età, ragazze svedesi e giovani dai tratti medio orientali, mamme con i figli, famiglie complete, comunità africane. Una folla che parla a bassa voce.
MOLTI PIANGONO. La selva di telecamere e giornalisti non li ferma: tutti vogliono posare fiori. Sguardi straniti
Banlieue turbolente L’afflusso continuo di profughi crea tensioni, ma nessuno vuol cambiare mentalità