Il Fatto Quotidiano

Le virgolette sono due apostrofi rosa tra il “mio” e il “tuo”

Per risolvere il problema basta prevedere una apposita bibliograf­ia delle “opere saccheggia­te”

- » EUGENIO RIPEPE

C’è spazio sul Fatto per una dissenting opinion a proposito del modo in cui è stata data notizia dei pregevoli esercizi di copiato rinvenuti nella tesi di dottorato di una ministra tuttora impavidame­nte in carica? Se sì, ecco qualche appunto (nel senso di critica) di un antico lettore.

PRIMO. Non è stata neanche presa in consideraz­ione l’ipotesi che la leggiadra dottoranda destinata a diventare una leggiadra ministra si sia ispirata al borgesiano Pierre Menard, autore del Chisciotte: un grande erudito che decide di scrivere (non di riscrivere) il Don Chisciotte, ma non copiando dall’originale, perché quello che gli interessa è creare autonomame­nte un’opera identica, “pa rola per parola, riga per riga” a quella di Cervantes, che scritta da lui acquista significat­i del tutto inediti.

Secondo appunto. Ammesso che questa ipotesi sia stata scartata a causa delle troppe frasi sue che, a differenza del più rigoroso Pierre Menard, l’allora dottoranda ha inframezza­to a quelle tratte da testi altrui, resta il fatto che non è stata presa in consideraz­ione nemmeno l’ipotesi che la dottoranda abbia evitato di specificar­e volta per volta da chi e da dove aveva preso le frasi e i bra- ni altrui solo par délicatess­e, cioè per rispettare la privacy degli autori (non) citati, evitando di tirarli in ballo senza avere prima ottenuto le relative liberatori­e. Ma, soprattutt­o, la vicenda è stata presentata dal Fatto estrapolan­dola dal contesto, cioè come se si trattasse di qualcosa che poteva avvenire in qualunque parte del mondo, e non solo in quel mondo fuori dal mondo che è il Paese delle Facce di Bronzo nel quale essa è avvenuta.

UN PAESE NEL QUALEpuò accadere che in uno dei suoi non infrequent­i accessi di megalomani­a, un miliardari­o pubblichi un’e di zi on e dell’Utopiadi Tommaso Moro attribuend­osi la paternità della traduzione e dell’introduzio­ne, dovute invece a Luigi Firpo, senza per questo andare incontro al meritato ludibrio, o subirne contraccol­pi negativi per la propria credibilit­à, visto che la cosa non gli ha impedito di diventare addirittur­a presidente del Consiglio (e di veder riparare sotto le sue ali protettric­i anche un manipolo di professori, evidenteme­nte non sospettabi­li di schizzinos­ità). Un Paese nel quale può accadere che un altro professore, responsabi­le di una serie di plagi conclamati e reiterati, continui a scrivere

( pardon: a firmare) articoli su Repubblica, senza particolar­e disdoro ( ma il termine tecnico sarebbe scuorno) suo o di Repubblica. E può pure avvenire che un personaggi­o sovraespos­to e dovunque imperversa­nte, colto con le mani nel sacco per aver copiato pagine e pagine (nientedime­no che) da una dispensa dei Maestri del colore, se la cavi sostenendo che le mani erano in realtà della sua mamma, alla quale aveva chiesto di scrivere quelle pagine al suo posto ( peso el tacon del buso, si diceva una volta), e invece di uscirne squalifica­to a vita, ne esca con accresciut­o prestigio, chiamato dappertutt­o a pontificar­e e blaterare de omnibus rebus et de quibusdam aliis.

Un Paese nel quale può accadere che proprio chi più dovrebbe avere a cuore il buon nome e la reputazion­e di un Istituto che si autodefini­sce “di Alti Studi”, una volta scoperto che in quell’Istituto si conseguono dottorati con tesi assemblate attingendo a piene mani a lavori altrui, senza indicare quanto è opera del candidato e quanto non lo è, invece di saltare sulla sedia indignato, riduce la cosa a una faccenduol­a di omesse virgolette, cioè a un banale incidente dattilogra­fico.

Con l’ovvia conseguenz­a che, in omaggio al principio di uguaglianz­a, d’ora in poi nelle norme per l’elaborazio­ne delle tesi di dottorato di quell’Istituto sarà certamente aggiunta una postilla di questo genere: “È ammessa l’utilizzazi­one di pagine e brani presi alla lettera da scritti altrui anche senza pre- cisarne la paternità e la provenienz­a, purché tali scritti siano menzionati in blocco una tantum in un’apposita bibliograf­ia delle opere sacc he gg i at e ”. Un Paese nel quale, oltre tutto, classe politica e società civile finalmente in sintonia non fanno una piega di fronte a una vicenda che altrove suscitereb­be un pandemonio; e la stessa corporazio­ne accademica non batte ciglio, né inarca sopraccigl­io, nell’apprendere che in un Istituto di Alti Studi si possono conseguire dottorati di ricerca con tesi delle quali chi è chiamato a valutarle non è messo in condizione di distinguer­e le parti scritte dall’autore da quelle che l’autore ha solo trascritto.

ECCO, SE QUESTO è il contesto, non si dovrebbe riconoscer­e che la leggiadra ministra rappresent­a degnamente il suo Paese, anche se evita di mettere, anzi: proprio perché evita di mettere le virgolette? Ma poi, cosa son le virgolette? Due apostrofi rosa messi tra le parole “tuo” e “mio”…

Equivoci?

La dottoranda forse ha evitato le citazioni per rispettare la privacy degli autori

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