Dopo la strage dei gas, nessuno è siriano. Solo parigini?
Dopo la strage di qualche giorno fa in Siria, nel villaggio di Khan Sheikum, dove quasi un centinaio di persone sono morte, fra cui molti bambini, ho atteso che qualche voce si levasse, s’intende oltre a servizi giornalistici e televisivi. Nulla, o quasi. Non ci sono stati i presidi in piazza, i sit-in, i flash-mob, i drappi appesi, le fiaccole. Nessuno ha detto: “Siamo tutti Siriani”. Quanto accaduto insomma dopo i fatti di Parigi, Bruxelles, Londra, Orlando, Nizza. Evidentemente i volti dei bambini che agonizzavano in una tremenda sofferenza, trasmessi morbosamente dalle TV, non fanno più alcun effetto alla nostra coscienza. Dopo il bambino morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, divenuto simbolo per qualche giorno, ci siamo ormai assuefatti anche a questi ultimi orrori. Sprofondiamo in una lunga notte della ragione, nella morte delle civiltà e delle culture, portandoci dietro le nostre piccole convinzioni, sempre più inadatte ad affrontare il mondo e le categorie di oggi. Tutti troppo presi dalle lotte politiche, della serie “mentre il palazzo va a fuoco, i condomini litigano in assemblea”. A breve festeggeremo il 25 Aprile, Festa della Liberazione. Tanti altri attendono una loro Liberazione, che non è ancora avvenuta. Malgrado il pessimismo della ragione, permane l’ottimismo della volontà. Recuperiamo la capacità di immedesimarci, soffrire, solidarizzare.