Tutto ciò che ci nascondono i padroni di vaccini e farmaci
Paradossi Ricerca finanziata dai privati, clausole, enti di vigilanza pagati dall’industria e poca chiarezza. Mentre gli studi profit sono quattro volte quelli non profit
Clausole sulle ricerche cliniche, contratti riservati con istituti nazionali, tavoli tecnici ministeriali senza registro pubblico dei conflitti d’interessi: lo slogan “farmaci e vaccini non sono un’opinione”, usato per rispondere alle posizioni dei critici, diventa un’arma a doppio taglio quando si prova a reperire dati che lo sostengano. Tra conflitti d’interessi, scarsa trasparenza e carenza di ricerca indipendente, sostenere con i fatti l’imparzialità degli studi rischia di diventare un atto di fede.
LA RICERCA. Rivis ta Ep idemiologia e Prevenzione (dell’associazione italiana di epidemiologia), edizione luglio-ottobre 2008. A pagina 241 c’è un articolo dal titolo “Screening e vaccini: verso un programma integrato nella prevenzione del cervicocarcinoma”. La prima firma è di Paolo Giorgi Rossi di LazioSanità, agenzia di sanità pubblica. Il paper racconta le nuove prospettive mediche dopo la scoperta del rapporto tra il virus del papilloma umano (Hpv) e il cancro alla cervice uterina. Spiega che è importante unire vaccini e screening contro la malattia. “La sfida – si legge – è di coordinare la prevenzione primaria e secondaria senza che l’arrivo di nuove tecnologie sia solo occasione per moltiplicare i costi”. Alla fine, si indicano i conflitti d’interessi: “LazioSanità ha ricevuto un finanziamento da Sanofi Pasteur MSD (produttrice dei vaccini Hpv, ndr), per uno studio sulla malattia in Italia. Rossi ha ricevuto rimborso delle spese di viaggio per presentare i risultati in due conferenze internazionali e per un workshop”.
QUESTIONE PRIVATA. Nella ricerca clinica e nella scelta dei membri degli organismi di vigilanza, c’è l’obbligo di indicare i legami con portatori d’interesse. Le regole, però, a volte non bastano. “Quando i risultati di una sperimentazione non sono positivi – spiega un ricercatore di un centro ospedaliero romano – c’è sempre timore a dirlo a chi l’ha finanziata privatamente perché potrebbe decidere di non pubblicarli o di non rifinanziare”. Versione confermata da studi ed esperti: “Spesso lo sponsor – scriveva nel 2002, con altri colleghi, Fausto Roila, oggi direttore di Oncologia Medica al Santa Maria di Terni – ne decide l’argomento, ne controlla l’intero processo, acquisisce la proprietà del dato. Può anche orientare interpretazione e pubblicazione. In qualche caso, perfino impedirla”. Contattiamo Roila, che è anche membro del tavolo oncologico dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco), per avere un suo giudizio 15 anni dopo: “La questione è delicata e si corre il rischio di dare un’informazione che potrebbe essere non interpretata correttamente. La ricerca è una cosa seria, genera progressi importanti nel trattamento delle malattie, come sta accadendo in campo oncologico. Ma il problema dei con- flitti di interessi c’è: nell’interazione delle aziende con le agenzie regolatorie, con le riviste di medicina, con le associazioni dei medici e le associazioni dei pazienti. Riguardano i compensi e le possibilità di carriera dei medici”. Ad esempio, la partecipazione a comitati di esperti ( advisory boards ) a livello internazionale è organizzata dalle aziende farmaceutiche per definire come sviluppare un nuovo farmaco. Spesso questo si traduce, sempre ottenendo compensi, in tavole rotonde a livello nazionale e locale, in cui si diffondono i risultati della ricerca. O in corsi di aggiornamento pagati dall’industria. “È ovvio che questa interazione – spiega Roila – condiziona il giudizio sul farmaco. Spesso, poi, gli studi sponsorizzati sono scritti da un medical writer, gli autori decisi dall’industria farmaceutica”.
CONFLITTI E CLAUSOLE. Anno 2013: l’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano partecipa a un bando europeo per sviluppare un farmaco di proprietà dell’inglese GlaxoSmith&Kline. È un progetto (Imi) da 80 milioni di euro, finanziato per metà dalle industrie e per l’altra metà da fondi Ue. I ricercatori milanesi si accorgono però che le restrizioni legali sono eccessive. “Troppe per uno studio finanziato a metà da fondi pubblici”, raccontano. Chiedono spiegazioni e scoprono che i dati confluiscono in una struttura legata all’industria e che non possono consultare quelli degli altri partecipanti. “Come potevamo firmare il progetto senza poter avere accesso a un quadro completo?”. La rinuncia gli è costata diversi milioni