Il Fatto Quotidiano

“Coppi volava e Bartali restò solo col peso dei suoi anni”

- » ENZO BIAGI

Il 15 maggio 1948 partì da Milano il 31° Giro d’Italia vinto da Fiorenzo Magni, secondo Ezio Cecchi a soli 11 secondi. Enzo Biagi lo seguì come inviato di “S ta di o”. Era al seguito del gruppo su una Topolino, ovviamente amaranto. L’invi ato Biagi osservò la corsa con gli occhi del cronista prestato allo sport raccontand­o più l’uomo che l’atleta, il gregario che il campione e soprattutt­o l’Italia che al passaggio del Giro si fermava e si stringeva attorno ai suoi campioni, Bartali e Coppi, dimentican­do per un momento il dopoguerra e le ferite lasciate dalla dittatura fascista. l Giro d’Italia nasce nel cortile della Gazzetta dello Sport, fra il magazzino della carta e la mensa degli operai. Qui i corridori vengono a punzonare e li accoglie il battere delle linotypes, qualche bandiera, un sottile odor d’inchiostro e di acidi. Nel reparto delle spedizioni un giovanotto sta confeziona­ndo un pacco: diciannove maglie rosa partiranno domani per Torino, e ogni giorno l’involto si farà più leggero. Piove: una pioggia sottile e lenta che ricorda l’autunno. C’è accanto a me un vecchio dalla barba candida che vuole vedere Bartali e Coppi, e se ne sta tranquillo sotto questa acqua fredda e penetrante. “Una volta” dice “correvo anch’io. Mi chiamo Mazzoleni”. Il suo nome non mi dice nulla, io conosco Girardengo, Binda e Di Paco, tutt’al più posso arrivare a Ganna. “Guardi” insiste; e mi mostra una fotografia ingiallita di quelle che si possono vedere soltanto nel salotto di un gentiluomo di campagna, o dell’ultima dama di corte della Regina Margherita. Lui, il vecchio Mazzoleni, su un altissimo biciclo, fiero nei mutandoni di lana, adorno di un paio di quei rigidi baffi che trionfano nelle réclames della Chinina Migone. Ha 89 anni, l’uomo dalla barba bianca, ma non può mancare a questo appuntamen­to che gli porta ancora una voce della giovinezza lontana. Si entusiasma come i bambini che inseguono Ortelli, perché vogliono l’autografo. È uno spettacolo semplice ed umano. Non potete capirlo se vi fermate a guardare soltanto i fotografi, i microfoni della radio, i giornalist­i che si premono attorno al tavolo dei commissari, non potete capirlo se non siete più capaci di commuoverv­i per il campione. Queste cose vanno viste con umanità, con innocenza, come si guardano le testimonia­nze dell’infanzia, le figurine Liebig, un berretto alla marinara, i fascicoli dei Tre Boys Sc out . Una signorina com- menta: “Pensate tanta fatica, tanti chilometri, per una maglia rosa”. “Signorina” le ha risposto sdegnato il mio amico Mazzoleni, nato al tempo del Quadrato di Villafranc­a “c’è chi è morto per un vessillo”. O, come ha rischiato di fare Bartali, per troppo amore. Premuto da una folla di seguaci fanatici, per poco non cadeva a terra e non finiva calpestato. Allora Gino, come lo chiamano gli intimi e gli ammiratori, si è arrabbiato, ha fatto il volto scuro, ha trattato male tutti, non ha risposto ai cronisti, né agli applausi. “Il Signore” ha detto alla moglie che lo accompagna­va “ci ha ordinato di sopportare le persone moleste, ma fra le pene che procura la noia e i dolori che causano i pugni allo stomaco corre qualche differenza”. Anch’io sono andato a farmi punzonare. Mi hanno dato un braccialet­to di metallo sul quale sta scritto: “31° Giro d’Italia”. Faccio la corsa, sono nei ranghi. Al 7 giugno, quando tornerò a casa, lo regalerò a mia figlia. Potrà giocare con un cimelio.

***

Il Giro fu scandito dall’eterno duello tra Bartali e Coppi. Il controllar­si a vicenda consentì, nella tappa Bari-Napoli, una fuga di 250 chilometri di un gruppetto di corridori tra cui i tre si alterneran­no alla testa del Giro: Ortelli, Cecchi e Magni. Bartali e Coppi arriverann­o al traguardo con oltre 13 minuti di distacco. Nei due tapponi dolomitici Fausto Coppi si scatenò vincendoli entrambi. Il secondo, che portava il Giro da Cortina a Trento, segnò il crollo definitivo di Bartali, e Fiorenzo Magni conquistò la maglia rosa spodestand­o Ezio Cecchi. Lì accadde il fatto che segnò la storia della corsa: le squadre Bianchi e Cimatti di Coppi e Cecchi presentaro­no reclamo perché Magni, in difficoltà sul Pordoi, era stato aiutato con innumerevo­li spinte. La giuria lo penalizzò di soli 2 minuti che gli consenti- rono di mantenere la testa della classifica. Coppi e tutta la squadra, per protesta, abbandonar­ono il Giro. Biagi nella sua rubrica quotidiana non esaltò l’impresa di chi vinse, preferì raccontare del trentaquat­trenne Bartali, convinto che fosse la fine della sua carriera. Il ciclista toscano arrivò al traguardo con oltre 7 minuti di distacco.

L’ultima illusione

La vecchiaia ha raggiunto Bartali due chilometri prima del Passo del Falzarego. Io l’ho vista arrivare, ho visto l’istante in cui si è avvicinata a Gino. La vecchiaia ha detto a Coppi: “Vai, vai” e l’atleta si è allontanat­o leggero; ha det- to invece al campione al tramonto: “Resterò io a farti compagnia, perché è ormai la tua ora. Devi portarmi con te”. Allora l’impresa di Bartali si è fatta più dura, perché sul telaio c’era il peso degli anni, c’erano le fatiche gettate per le lunghe strade del mondo, tante corse, ma il corridore non aveva gli occhi lucidi, non svelava alcun patimento. Io guardavo Bartali, e il suo volto era sereno. Coppi fuggiva verso il Pordoi, verso Trento; Bartali capiva di aver raggiunto l’ultimo traguardo. “Coraggio Gino”, gli gridavano i pastori, le donne curve sotto le gerle, i parroci dalle nere sottane svolazzant­i. “Viva”, urlavano ancora i bambini delle scuole, e battevano allegramen­te le mani.

Io credo che Bartali sia diventato vecchio stamattina, poco prima del Falzarego, così, senza rimpianto, senza amarezza. E si è accorto che, anche in discesa, qualcosa frenava le sue ruote; credeva di pedalare come sempre, ma la bicicletta si muoveva lentamente; non gli era mai accaduto di sudare tanto. Scendendo verso Canazei una macchina l’ha raggiunto. Dal finestrino si è affacciato Alfredo Binda. Binda ha sorriso e così pure Bartali. Il sorriso del “Re della Montagna” voleva dire: “Bisogna saper invecchiar­e, saper perdere, quando si ha tanto vinto. È bello avere anche tante cose da ricordare, ciò ti aiuterà a riempire i giorni che verranno. Ogni minuto di distacco

che hai oggi, è una vittoria di ie ri”. E Bartali ha concluso questa tappa con un’azione generosa, umana. Cecchi era caduto, aveva forato, era stanco e lottava con la disperazio­ne per cercare di conservare la maglia rosa. Bartali si è ricordato del piccolo Cecchi, costretto sempre a fare il gregario, ha pensato che Cecchi ha la sua età e sta per concludere, anche lui, una umile ma combattuta carriera, ha voluto tentare di difenderlo, di aiutarlo, lui, è diventato il gregario del piccolo atleta di Monsummano e l’ha “tirato” per chilometri e chilometri tenacement­e. Quando i due “vecchi” sono arrivati a Trento e sono scesi dalla bicicletta per andare a l l’albergo, hanno lasciato

appesa al manubrio l’ultima illusione.

La fine del racconto del Giro del ’48 Biagi lo dedicò a Fiorenzo Magni, che per lui una vittoria – aveva pensato all’inizio della corsa – avrebbe potuto contribuir­e a lasciarsi alle spalle “un burrascoso passato politico, porre definitiva­mente una pietra sulla camicia nera”, ma nessuno avrebbe potuto immaginare un epilogo tanto drammatico.

Tristezza della maglia rosa

Non credo che, questa sera, Fiorenzo Magni sia felice. Lo hanno costretto a compiere il giro d’onore, ma subito il

Vigorelli si è riempito di fischi. (...) Tribune e gradinate fraternizz­avano negli insulti. Dai posti popolari lo inseguivan­o con lanci di cuscini, di cartaccia, di involti di ogni genere. Si sono tranquilli­zzati solo quando lo hanno visto cercar rifugio nel prato. Magni alzava le mani sul manubrio per salutare, si sforzava di sorridere: non credo in segno di sfida, ma piuttosto per difendersi, per farsi coraggio. Non so di che entità siano le infrazioni compiute dal capo squadra della Vilier nella tappa del Pordoi, non so se i 2 minuti coi quali la giuria lo ha punito sono pochi o tanti, e (...) voglio escludere il sospetto che i fischiator­i di Milano, mescolando sport e politica, inten- dessero colpire nella maglia rosa una ex-camicia nera. La folla non è né educata né generosa: non è neppure umana. Esaspera sempre tanto il delitto, quando il castigo, e per urlare “evviva” al bravo Cecchi, sentiva il bisogno di offendere Magni. Onesti padri di famiglia, rinomati profession­isti, hanno speso cinquecent­o lire, con l’un ic o scopo di andare in un velodromo a gridare “porco” a un corridore. Sembrava che tutto congiurass­e contro di lui: non c’era aria di festa, ma piuttosto di minaccia. (…) Magni, se ha delle colpe, (...) le ha oggi duramente scontate: il pubblico non ha voluto né dimenticar­e, né perdonarlo. Non ha avuto pietà.

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