Il Fatto Quotidiano

Quando sul doping di Merckx litigò pure con Montanelli

- » LORIS MAZZETTI

Il 100° Giro d’Italia è l’occasione per un altro appuntamen­to con il Biagi meno conosciuto e un po’ segreto. Enzo Biagi ha amato molto lo sport pur senza praticarlo, anche se da ragazzo correva forte i duecento metri. Da militare, durante la prima visita medica, gli diagnostic­arono una cardiopati­a. Problema che lo avrebbe accompagna­to per tutta la vita. Il calcio, tifoso del Bologna, il pugilato e il ciclismo gli sport preferiti. Cominciò il mestiere del giornalist­a al Carlino Sera scrivendo cronache di incontri del calcio minore. “Erano cronache rapide e superficia­lissime. Non credo di aver posseduto le doti del bravo cronista”. Dei campioni di pugilato raccontò la loro vita fuori più che all’interno del ring. Fece storia un suo articolo, dedicato a Duilio Loi, che a 31 anni divenne il terzo campione del mondo italiano dopo Carnera e D’Agata battendo il detentore Otis; poi l’intervista a Cassius Clay dopo l’incontro vinto con Foreman per k.o. all’ottava ripresa, tornando a essere campione mondiale dei massimi. Eravamo in Polonia, a Wadowice paese di Karol Wojtyla, stavamo girando uno Speciale il Fatto sugli ottant’anni del pontefice, quando il Corriere lo chiamò per un editoriale: era deceduto Gino Bartali. Biagi ricordò il Giro d’Italia del ’48, quando scrisse che la carriera del campione toscano era inesorabil­mente al tramonto. Grande errore: Bartali, dopo il Giro, vinse il suo secondo Tour de France; smise di correre nel 1954 a quar an t’anni suonati. Biagi mi raccontò che aveva seguito la corsa come inviato di Stadio, giornale sportivo bolognese. Allora la radio la faceva da padrona. “Un uomo solo al comando”. La gara fu vinta da Fiorenzo Magni per soli 11 secondi sul gregario di Bartali, Ezio Cecchi. Sulle Dolomiti, nel giorno di Coppi, Bartali non riuscì a tenere il suo ritmo e perse il Giro, mentre Magni tenne la ruota grazie alle tante spinte dei tifosi e diventò ma- glia rosa. Allora la bicicletta era più popolare del pallone. La rivalità tra Coppi e Bartali divideva il Paese. Nel ciclismo, come nella vita, vi era la scala sociale, il campione da una parte e il gregario dall’altra. A Biagi piaceva lo sforzo fisico del ciclista, in salita vinceva chi aveva più da spendere. Poi arrivò la television­e e il racconto epico delle scalate sul Pordoi, sul Falzarego, fu sostituito dalle immagini trasmesse in diretta dalla Rai. I critici tv attribuisc­ono alla trasmissio­ne Bontà loro (1976) di Maurizio Costanzo la nascita del talk. L’inizio del genere appartiene ad un’altra trasmissio­ne: Il processo alla tappa di Sergio Zavoli in onda dopo l’ar ri vo da un palco improvvisa­to nei pressi del traguardo. Prima puntata 1962. Durante la 52ª edizione del Giro Eddy Merckx, maglia rosa, risultò positivo ad un controllo antidoping, la giuria lo squalificò, la corsa fu vinta da Felice Gimondi. L’immagine del campione sdraiato sul letto in lacrime fa parte della storia dello sport. Due giorni dopo la squalifica, Zavoli aveva come ospiti del Processo i giornalist­i Brera, Ormezzano, Raschi e vari ciclisti. Quel giorno il Corriere della Sera in prima pagina titolava: Tutti a casa, a firma di Indro Montanelli. Siccome era convinzion­e generale che Merckx fosse innocente e il doping frutto di una congiura, Montanelli aveva esortato il pubblico a disertare la corsa, creando grande polemica. A sorpresa, Zavoli si collegò con la Rai di Milano dove erano presenti Montanelli e Enzo Biagi. Sull’insistenza dell’Italia infangata intervenne Biagi mettendo tutti a tacere: “Da italiano non mi sento infangato, state parlando del Giro d’Italia non dell’onore di un Paese”. Poi rivolgendo­si agli altri giornalist­i: “Finiamola con questa commedia, vi siete vestiti da Maigret e siete un po’ ridicoli, se sapete qualcosa raccontate­lo altrimenti tacete. Lo dico anche a te, Indro”. Era il lontano 1969.

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