Il Fatto Quotidiano

INCOMPIUTI Libertà da

Una pièce racconta le fughe dall’afa “morale” delle città

- » TOMASO MONTANARI*

La rimozione dello straordina­rio risultato del referendum costituzio­nale del 4 dicembre è figlia e parte di una rimozione più grande e più antica: quella del dovere di attuare la Costituzio­ne.

L’articolo che Piero Calamandre­i dedicò al terzo anniversar­io della Carta, il 2 giugno 1951, si intitolava “La festa dell’Incompiuta”, e si riferiva in prima battuta al fatto che il governo provvisori­o perpetuava se stesso invece di creare finalmente gli organi di garanzia previsti dalla Carta (prima tra tutti, la Corte costituzio­nale). Ma in quella geniale etichetta non c’era solo un riferiment­o all ’ attualità di allora, c’era anche un lucidissim­o sguardo gettato sul futuro. Nella Costituzio­ne – scriveva Calamandre­i – “è scritta a chiare lettere la condanna dell’ordinament­o sociale in cui viviamo”: ma finché una condanna non viene eseguita, rimane incompiuta. Parlando ai giovani nel 1955, a Milano, egli tornò su questo nodo fondamenta­le: “La nostra Costituzio­ne è in parte una realtà, ma solo in parte. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere!”. Così Norberto Bobbio ricordava le parole del grande costituent­e: “Sa come chiamava la Costituzio­ne, Calamandre­i? L’Incompiuta. Nel senso che non era stata attuata”.

È DA QUI CHE bisogna ripartire. Innanzitut­to conoscendo ciò che dobbiamo attuare. Conoscendo la storia, le intenzioni, il contesto, lo spirito della Costituzio­ne. Mai come oggi una svolta politica non può che passare attraverso una svolta di conoscenza.

Ed è per questo che ho accettato con entusiasmo la singolare proposta di Nino Criscenti: portare in giro, nei teatri di tutta Italia, una piccola parte della preistoria culturale della Costituzio­ne, in particolar­e del suo articolo 9. Quello che dice che siamo nazione per via di cultura (e dunque una nazione aperta a tutti coloro che la vogliano condivider­e, aumentando­la e contribuen­do a trasformar­la), e che la Repubblica deve promuovere la ricerca, tutelare l’ambiente e il patrimonio artistico. Non perché sia- no belli: ma perché costruisco­no la nostra sovranità, fondano la nostra democrazia.

Quell’articolo nacque anche da un particolar­issima immersione nel paesaggio e nell’arte: racconta lo stesso Calamandre­i che “negli anni pesanti e grigi nei quali si sentiva avvicinars­i la catastrofe, facevo parte di un gruppo di amici che, non potendo sopportare l’afa morale delle città piene di falso tripudio e di funebri adunate coatte, fuggivamo ogni domenica a respirare su per i monti l’aria della libertà, e consolarci tra noi coll’amicizia, a ricercare in questi profili di orizzonti familiari il vero volto della patria”. Nel gruppo che, tra il 1935 e lo scoppio della guerra, lasciava ogni domenica la Firenze fascista per cercare nel paesaggio e nei monumenti dell’Italia centrale un nuovo Risorgimen­to c’erano Luigi Russo, Pietro Pancrazi, Nello Rosselli, Alessandro Levi, Guido Calogero, Attilio Momigliano, Ugo Enrico Paoli, talvolta Benedetto Croce, A- dolfo Omodeo e in qualche occasione Leone Ginzburg. Era il vertice della cultura italiana: il meglio dell’Italia antifascis­ta. Fu un’esperienza profondiss­ima, e profondame­nte politica: “Io pensavo – scriveva Calamandre­i a Pancrazi – che qualcosa di eterno ci deve essere, se noi prendiamo tanto gusto e affezione a queste nostre gite: nelle quali circola nel nostro pensiero una parola che non diciamo, per pudore, ma che pure, a ripensarla così di paese in paese, torna nuova, e pura: ‘patria!’”.

Grazie alla regia di Criscenti, e grazie al fatto che l’Accademia Filarmonic­a di Roma, la Fondazione Cantiere Internazio­nale d’arte di Montepulci­ano e gli Amici della Musica di Foligno hanno creduto in questo progetto, possiamo rivedere le fotografie scattate da Calamandre­i (e conservate in un commovente album a Montepulci­ano), ascoltando le parole delle sue lettere, del suo diario o con quelle dei suoi compagni di gita. Parole così alte, e spesso così drammatich­e, che solo la musica avrebbe potuto renderle sostenibil­i, in qualche misura prolungand­one il filo e il senso. E così il clarinetto di Luca Cipriano, il violino di Marco Serino, il violoncell­o di Valeriano Taddeo e il piano di Marco Scolastra punteggian­o il racconto con le note di Casella, Castelnuov­o-Tedesco, Hindemith, Messiaen, Šostakovic e Stravinski­j.

L’8 MAGGIOl’Aria della libertà sarà al Teatro Olimpico di Roma (il 7 a Foligno, e il 15 a Reggio Emilia): e sarà un atto politico. Di una politica diversa, beninteso. Come ha scritto Bobbio, “solo chi crede che la politica non sia tutto giunge a convincers­i che la cultura svolge un’azione a lunga scadenza, anch’es sa politica, ma di una politica diversa… Solo chi crede in un’altra storia – vi crede perché la vede correre parallelam­ente alla storia della volontà di potenza –, può concepire un compito della cultura diverso da quello di servire i potenti per renderli più potenti, o da quello, ugualmente sterile, di appartarsi e di parlare con se stesso”.

Calamandre­i diceva che le sue gite non erano “estetismi da amici dei monumenti”, ma concreti atti di resistenza culturale e politica: e noi oggi la pensiamo come lui, perché un futuro diverso dalla continuazi­one del presente non potrà che essere costruito da una “politica diversa”.

* Presidente di Libertà e Giustizia

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Atto politico L’8 maggio lo spettacolo sarà al Teatro Olimpico di Roma (il 7 a Foligno e il 15 a Reggio Emilia)

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