Potete chiamarle cover anche se è l’inizio del ’600
Dal profano al divino
L’IDEA in fondo non è così lontana da quella che al giorno d’oggi porta vari interpreti a cimentarsi con le cosiddette cover. E non si scandalizzino i puristi perché, in tema di sperimentazioni musicali e lancio di nuovi generi, il XVII secolo è molto più vicino di quanto si creda alXXe XXI. L’ambiente è quello milanese di inizio ‘600, i brani di successo sono quelli che Claudio Monteverdi ha da poco dato alle stampe nelle sue celebri raccolte di madrigali. Perché dunque non riproporli anche in ambito sacro? Piccolo problema: i testi sono assolutamente profani, in gioco ci sono temi amorosi carichi di passioni, come quando si parla di amanti la cui anima “è tutta foco e tutta sangue”. Che fare? Scende in campo un insegnante di retorica, Aquilino Coppini, che senza troppi problemi sostituisce gli originali con testi sacri in latino. Così le pene d’amore si sublimano nell’adorazione del divino, le anime placano i loro ardori nella contemplazione. Rifacimento che ha dell’incredibile se si pensa all’intimo legame esistente in Monteverdi tra parola e musica. Eppure il risultato pare funzionare, anzi è alquanto godibile, specie nell’ottima esecuzione che offrono i componenti del gruppo “Nova Ars Cantandi” diretti da Giovanni Acciai. E a garantire il risultato c’è l’etichetta Archiv.