Il Fatto Quotidiano

Potete chiamarle cover anche se è l’inizio del ’600

Dal profano al divino

- » GIORGIO CERASOLI

L’IDEA in fondo non è così lontana da quella che al giorno d’oggi porta vari interpreti a cimentarsi con le cosiddette cover. E non si scandalizz­ino i puristi perché, in tema di sperimenta­zioni musicali e lancio di nuovi generi, il XVII secolo è molto più vicino di quanto si creda alXXe XXI. L’ambiente è quello milanese di inizio ‘600, i brani di successo sono quelli che Claudio Monteverdi ha da poco dato alle stampe nelle sue celebri raccolte di madrigali. Perché dunque non riproporli anche in ambito sacro? Piccolo problema: i testi sono assolutame­nte profani, in gioco ci sono temi amorosi carichi di passioni, come quando si parla di amanti la cui anima “è tutta foco e tutta sangue”. Che fare? Scende in campo un insegnante di retorica, Aquilino Coppini, che senza troppi problemi sostituisc­e gli originali con testi sacri in latino. Così le pene d’amore si sublimano nell’adorazione del divino, le anime placano i loro ardori nella contemplaz­ione. Rifaciment­o che ha dell’incredibil­e se si pensa all’intimo legame esistente in Monteverdi tra parola e musica. Eppure il risultato pare funzionare, anzi è alquanto godibile, specie nell’ottima esecuzione che offrono i componenti del gruppo “Nova Ars Cantandi” diretti da Giovanni Acciai. E a garantire il risultato c’è l’etichetta Archiv.

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Contrafact­a Nova Ars Cantandi Archiv

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