Il Fatto Quotidiano

La notte in cui Pino non riuscì a dormire: così nacque “Napule è”

- » ENRICO FIERRO

Napoli, metà anni Settanta del secolo scorso. Vibrione e colera, speranze e delusioni, malacarne che si uccidono a colpi di calibro 9, borghesia con il culo al caldo di Chiaia e lo sguardo fisso sui faraglioni. Gli operai dell’Italsider di Bagnoli e quelli del l’Alfa- Sud di Pomigliano. I Disoccupat­i organizzat­i. Il Fronte Sud delle Brigate Rosse. E l’aria. “L’aria che odorava di piombo, ma per chi amava la musica l’atmosfera a Napoli era eccitante. Una particolar­e energia pervadeva gli artisti in città”. E come poteva essere diversamen­te?

SOTTO IL VESUVIO si sperimenta­vano nuove sonorità, se ne recuperava­no di antiche e dimenticat­e. Nascevano talenti. Nuova Compagnia di canto popolare, di Roberto De Simone, Edoardo Bennato, Alan Sorrenti, James Senese e Mario Musella. Peppino Gagliardi, il Charles Aznavour italiano consolidav­a la sua fama artistica. Napoli, metà anni Settanta, Claudio Poggi ha intorno ai vent’anni. Fa il giornalist­a, scrive di musica, ma poi, quasi per una sorta di magia napoletana, diventa produttore di un certo Pinotto ch e suona la chitarra e di cognome fa Daniele. I genitori di Daniele Sanzone, invece, forse in quel periodo appena si conoscevan­o. Daniele è del 1978, ama la musica e fa mille mestieri. Voce incazzata degli “A-67”, scrittore, giornalist­a (fortunatam­ente per questo giornale) e musicista. Claudio e Daniele han- no scritto un libro bello, commovente e “musicale”. Terra mia (Minimum Fax, 113 pagine, 16 euro). Non è l’ennesima biografia di Pino Daniele, ma la storia bellissima e ricca di aneddoti sconosciut­i del primo album dell’artista napoletano, Terra mia. Più che un esordio, una sorta di testamento artistico anticipato.

Un libro da leggere per capire Pino e Napoli, Pino e la grande vena musicale che sgorga dalle viscere del Vesuvio. Ma con una avvertenza al lettore, soprattutt­o ai più giovani: leggetelo ma mettendo come sottofondo le canzoni dell’album. E allora vi verrà voglia di sapere come nasce la canzone più bella scritta da Pino Daniele, a poco più di vent’anni e quando ancora lo chiamavano “Pinotto”. Si tratta di Napule è, una di quelle melodie desti- nate a rimanere nel tempo, come è accaduto alle più grandi canzoni napoletane.

“Mi trovavo in cucina (è Claudio Poggi a parlare, ndr) quando Pino iniziò a strimpella­re qualcosa, qualcosa per cui mi si drizzarono le antenne. Era Na tazzulella ‘e café. Corsi in camera: “Cazzo, Pinò, è forte stu piezz!”. “Na tazzulella ‘e café e mai niente ce fann sapé…”. Ironia, sfottò, una musica irridente, per celebrare la bevanda più apprezzata a Napoli. Claudio va in cucina e prepara un caffè, ovviamente. Pinotto lo beve, ma giusto per “appoggiarc­i” una sigaretta.

DOPO L’ULTIMO sorso della tazzina, la rivelazion­e: “Stanotte non riuscivo a durmì e m’è asciuta pure chesta”. Pinotto imbraccia l’inseparabi­le chitarra e intona le prime strofe di Napule è. “Rimasi senza parole” racconta Claudio Poggi nel libro. “È bell’, eh?”, mi chiese. “Un capolavoro Pinò”. Ma quel capolavoro rischiò di finire nel repertorio di Peppino Di Capri. Cantante famosissim­o, che a Pinotto Daniele piaceva assai, ma certamente poco adatto a cantare quel tipo di canzoni. Scriveva, Pino ventenne, annotava, ascoltava e registrava nuove sonorità. “Quando tornammo a casa (dopo un breve incontro con Di Capri, ndr) mi fece ascoltare un altro brano che aveva scritto in quei giorni. Era Cammina cammina. Ero esterrefat­to: in meno di una settimana aveva sfornato tre c ap o l av o ri …”. Fortunatam­ente quelle canzoni Pino se le cantò da solo ed entrarono nell’album Terra mia. Che anni, quegli anni. E che musicisti. Rino Zurzolo (il maestro scomparso recentemen­te), James Senese, Toni Cercola, Enzo Avitabile e tanti altri. Bisognava presentare l’album Terra mia alla importante convention della Emi al Salone dei Congressi di Firenze.

PINOTTO E I SUOI musicisti partirono da Napoli in treno. Malvestiti, “s em b ra v am o dei parcheggia­tori disorganiz­zati”, ricorda Enzo Avitabile. Per farli salire sul palco, la casa discografi­ca incarica un addetto di comprare un po’ di camicie. Risultato catastrofi­co. “Alla fine del concerto – ricorda ancora Avitabile – Cercola mi disse, Enzo curati l’immagine, e io, di rimessa gli sparai: Tonì, curat ‘o fegato”. Daniele Sanzone sa tutto di Pino Daniele, canzoni e vita, versi e musica. “Quando in una intervista (Pino) dichiarò che gli ‘A 67 erano i nuovi paladini della musica metropolit­ana, mi sono commosso”.

Poi Daniele e i suoi compagni salirono sul palco con Pino Daniele. E le gambe tremarono per giorni. “Nessun artista italiano si è identifica­to in modo totale con la sua città, lui è stato il nostro Bob Marley, e se per lo scrittore Ralph Ellison il blues è quello che i neri hanno al posto della libertà, allora Pino per noi napoletani è stato ed è orgoglio e riscatto, rabbia e amore. Nessuno ha saputo raccontare in musica Napoli e il suo mondo come lui, e nessuno riuscirà più a farlo”. Lo dice Daniele Sanzone. E ha ragione.

In cucina “Pinotto” imbraccia l’inseparabi­le chitarra e intona le prime strofe . “Rimasi senza parole” racconta Claudio Poggi. “È bell’, eh?”, mi chiese. “Un capolavoro”

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Ansa Gli anni 70 L’album “Terra mia”, il primo di Daniele, è del 1977

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