M5S e Pd: il voto online e le primarie vanno certificati
Ci sono due ottime ragioni per cui il Movimento 5 stelle dovrebbe finalmente farsi certificare da un ente esterno le votazioni on line. La prima è la promessa che Gianroberto Casaleggio fece in un’intervista a noi rilasciata nel 2014. Allora il cofondatore del Movimento disse che era alla ricerca di una società in grado di svolgere il compito. Nel mondo, spiegò, ve ne sono poche, ma anche lui concordò sul fatto che questo passo fosse necessario. Da allora sono trascorsi tre anni. Casaleggio è prematuramente scomparso e la questione non è stata risolta. È vero che anche tra gli avversari dei pentastellati ormai nessuno mette più in dubbio la veridicità dei risultati. Le polemiche politiche e giornalistiche dei primi mesi di legislatura non hanno retto di fronte ai fatti: per esempio, il voto per il nuovo non statuto dell’ottobre scorso ha visto partecipare 87.2013 iscritti, su 135.025 aventi diritto. Un bel numero, ma non sufficiente per raggiungere quel 75 per cento degli associati che avrebbe messo il Movimento al riparo di eventuali ricorsi in tribunale contro le nuove regole. Se il rischio di manipolazioni delle consultazioni da parte dei vertici fosse reale, in quell’occasione l’asticella prevista dal codice civile sarebbe stata verosimilmente raggiunta. E lo stesso sarebbe accaduto a Genova, dove Beppe Grillo avrebbe potuto evitare di fare una cattiva figura, semplicemente ordinando di aggiungere 25 voti al risultato di Luca Pirondini, il candidato battuto (prima dell’annullamento del voto) da Marika Cassimatis per 362 preferenze a 338. Ma se gli iscritti 5 stelle, alla luce dell’esperienza, possono stare tranquilli, i pericoli potenziali (legati anche ad attacchi informatici esterni) restano. E la promessa di certificazione va mantenuta.
LA SECONDA RAGIONE è invece di natura più politica: la necessità di buoni esempi. Di pratiche che spingano pure gli altri partiti a migliorare. Dal punto di vista democratico, chi scrive, per esempio ha sempre ritenuto un’ottima cosa le primarie con cui il Pd sceglie il proprio segretario o i propri candidati sindaci o presidenti di regione. L’idea di allargare il voto anche a chi si dichiara semplicemente elettore senza avere in tasca una tessera del partito è giusta. Serve per riavvicinare i cittadini alla politica. Ma, in assenza di regole efficaci, di primarie in primarie diventa sempre più evidente quanto contino le clientele o addirittura la compravendita di preferenze. I video di FanPageche raccontano il trasporto alle urne dei richiedenti asilo e quelli sui due euro consegnati a chi entrava nei seggi stanno lì a dimostrarlo. Come lo dimostrano pure il sorprendente ritardo di 3 giorni con cui si è arrivati a conoscere il numero ufficiale dei partecipanti all’ultima competizione e le accuse, provenienti dai collaboratori dello sconfitto Andrea Orlando, secondo i quali i partecipanti sarebbero stati 200.000 in meno di quanto dichiarato.
Nessuno in buona fede può insomma discutere il fatto che pure le primarie del Partito Democratico abbiano bisogno di una certificazione esterna. I rappresentanti che ciascun candidato fa presenziare allo spoglio non bastano. Per evitare che la diffidenza dei cittadini anche verso questo importante strumento aumenti ancora, ci vogliono controlli nuovi e diversi. Matteo Renzi, che è il leader più amato dai suoi elettori, farebbe bene a trovare una soluzione in fretta. Prima che i 5stelle, mantengano la promessa di Casaleggio e possano dire, come già accade su stipendi dei parlamentari e finanziamenti pubblici, noi lo facciamo e voi?