Il Fatto Quotidiano

La crisi Einaudi degli Anni 80: quella scarpa sulla testa a Bollati

“C’è un gruppo di lavoratori” oltre ai dirigenti, scrivono indignati a “Il Manifesto”: sono correttori di bozze, tecnici e redattori della casa editrice torinese di cui ora un libro raccoglie le memorie

- » MASSIMO NOVELLI

Nei saggi dedicati alle vicende dell’Einaudi, così come nei ricordi di alcuni dei protagonis­ti, non si fa mai cenno a chi è stato “alle dipendenze” dello Struzzo, dai correttori di bozze, ai redattori, agli addetti all’ufficio tecnico, come soldato senza gradi: i lavoratori della casa editrice, insomma. Quelli che, durante la crisi finanziari­a degli anni Ottanta, lottavano per il posto di lavoro. Donne e uomini che, nel 1983, scrivevano a Il ma

nifesto:“C’è un gruppo di lavoratori e c’è un gruppo di dirigenti. I lavoratori difendono i loro posti di lavoro. I dirigenti, previ accordi con l’Unione industrial­e, tendono a salvare l’impresa attraverso tagli dell’organico”.

A QUESTO VUOTO di memoria, che è la storia a senso unico dell’impresa fondata nel 1933 da Giulio Einaudi, sopperisce ora Viola Lapiccirel­la, che, tra gli anni ‘70 e i primi ‘ 80, ha lavorato n el l ’ ufficio preparator­i e nell’ufficio correttori della casa editrice torinese.

Per Silvio Zamorani, editore di Torino, ha appena pubblicato Einaudiani in corpo minore (pagg. 113, euro 15), che raccoglie “sogni sulla casa editrice, conver- sazioni sui libri in preparazio­ne, disegni e biglietti” di un gruppo di dipendenti, elaborati allora, soprattutt­o nei mesi del tracollo economico, e rimasti chiusi nei cassetti fino a oggi. Spiega l’autrice, figlia di Renzo Lapiccirel­la e Francesca Nobili, i due intellettu­ali comunisti al centro del bel libro

Mistero napoletano di Ermanno Rea, che “si parla di un gruppo di correttori (e qualche redattore) dell’Einaudi”, ma “non si parla di loro, ma di quel periodo all’Einaudi attraverso di loro”. Lo si fa con gli “autori, i libri, le assemblee, le chiacchier­e d’ufficio, i disegni nati alla scrivania per commentare questo e/o quello, i bigliettin­i al ‘collega di scriva ni a’ che non incontravi più perché eri in un turno diverso durante il periodo della cassa integrazio­ne a rotazione”.

Anni duri, quelli negli uffici di via Biancamano, in particolar­e per chi non era un dirigente, un intellettu­ale “laureato” come i poeti di un verso di Eugenio Montale.

Capitava, riferisce Viola Lappicirel­la, di sognare molto realistica­mente che “l’azienda andava a fondo”, ed “Einaudi piangeva e qualcuno lo abbracciav­a e piangeva a sua volta. Per raccoglier­e le lacrime era stato steso un grande lenzuolo nero”. S’immaginava pure che “qualcuno del magazzino mi raccontava di aver preso a scarpate Bollati”. Giulio Bollati, il direttore generale dello Struzzo, “era accanto alla porta e lui accanto alla finestra e gli chiedeva un permesso per il pomeriggio benché ci fosse sciopero. Bollati glielo negava e lui gli tirava una scarpa”. Sogni, ma non solo.

NON SI AVEVA TIMORE, tra correttori e redattori, di esprimere giudizi senza peli sulla lingua, da lettori, e spesso assai poco benevoli, su alcune pubblicazi­oni. Dei primi romanzi di Andrea De Carlo, per esempio, si dice: “Un fotoromanz­o possiede più finezze psicologic­he”. E dello scrittore: “Lui è un giovanotto vestito alla moda; gentile. Magari la sua scrittura è antipatica e lui no....– Al contrario di Calvino”. Sul Racconto Italiano di Ignoto del novecento di Carlo Emilio Gadda, curato da Dante Isella, il commento è perentorio: “Che noia che noia che noia, che noia mortale questo signore. Note criptiche a Gadda”. Mentre per i Qua

derni di Sociologia, di Franco Leonardi, viene affermato: “Sono a pagina diciotto e

ancora non ho capito di cosa parla”. Anche Vittorio Strada, autorevole studioso di letteratur­a russa e sovietica, è messo all’indice: “Sto leggendo Strada. Una noia! Uno proprio si rende conto che non gliene importa niente. Boh. Poi mette piccolobor­ghese tutto attaccato, voi lo mettereste piccolo borghese tutto attaccato?”. La smitizzazi­one dal basso, per così dire, dei sacri nomi dello Struzzo, non risparmia le Cronache torinesi

1913-1917 di Antonio Gramsci, scelte da Sergio Caprioglio: “Ma io mi chiedo: Caprioglio doveva proprio andare a pescare questi articoli che fanno torto solo a Gramsci? ‘ Nuova attribuzio­ne’. Mah. Per me, non sono suoi. - Ti è restato un certo mito di Gramsci, eh? - Eh sì. Me l’ha proprio buttato giù...”. Ben pochi passano l’esame dei soldati semplici dell’Einaudi. Uno di questi è Augusto Monti, il professore antifascis­ta, amico e maestro di Cesare Pavese e di tanti altri allievi illustri del liceo Massimo d’Azeglio. A proposito delle sue Lettere a

Luisotta si sostiene: “Scrive bene, Monti; poi è pieno di modestia”. E poco dopo: “Certo che avere al liceo un professore così deve esser stata una bella fortuna”.

Controstor­ia della Struzzo, o storia differente, narrata da altri punti di vista, fuori da retorica e mito, Einaudiani in corpo minore è un libro vero e sincero, che, dice l’autrice, ricorda con affetto tutti, “maggiori e minori allineati dalla pialla equa del tempo”.

Tempi duri Sogni, commenti sui libri, biglietti lasciati sulle scrivanie del collega in cassa integrazio­ne, “l’altro” tracollo economico di via Biancamano

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