DIVORZIO, PERCHÉ LA CASSAZIONE SBAGLIA
Il 10 febbraio scorso la Cassazione ha emesso una sentenza ( 11504) “ri vo lu zi on ar ia ”: il consolidato criterio che garantisce al coniuge più debole, in caso di divorzio, un tenore di vita analogo a quello precedente deve essere abbandonato; basta assicurargli autosufficienza economica; se già ne gode autonomamente nulla gli è dovuto.
LA MOTIVAZIONE è raffinata: prima si deve stabilire se l’assegno divorzile è dovuto; e solo dopo si può procedere alla determinazione del suo ammontare. Ne consegue che, se il coniuge è in grado di sostenersi, non ha diritto all’assegno, anche se l’altro coniuge fosse estremamente ricco. Ciò in quanto, dopo il divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente; sia da un punto di vista personale (i coniugi diventano “persone singole”) sia da quello economico-patrimoniale. Pertanto il diritto all’assegno di divorzio è condizionato dalla mancanza di “mezzi adegu ati ” o, comunque, d al l ’ impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; ha natura esclusivamente “assistenziale”.
Poi si apprende che la Cassazione ha respinto il ricorso di Berlusconi nel processo per separazione contro Veronica Lario: chiedeva la riduzione dell’assegno. Le motivazioni sono: permane il vincolo matrimoniale; la signora Lario ha diritto a conservare lo stesso tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio. Contrasto tra le due Sezioni di Cassazione? No, semplicemente diversità dei giudizi: nella sentenza 11504 si verteva in un giudizio in tema di assegno di divorzio; in questa si trattava di stabilire l’am m on t ar e dell’assegno, dall’inizio del relativo processo fino al momento del divorzio. Ecco perché si fa riferimento alla permanenza del vincolo matrimoniale: la separazione non lo fa venir meno, e dunque, fino al divorzio, il coniuge meno favorito ha il diritto di essere mantenuto nel tenore di vita abituale. Quando si stabilirà definitivamente l’assegno divorzile si vedrà. Si adotteranno gli stessi criteri rivoluzionari della sentenza 11504?
Probabilmente no: non è una gran sentenza. Prima di tutto, è in contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale 11/2015: “il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile. Esso rileva per determinare “in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno”(in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, “in concreto”, quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri.” La Corte di Cassazione sostiene che questa sentenza non è in contrasto con la sua decisione in quanto si limita a indicare i criteri interpretativi di cui all’art. 5 della legge divorzile, da valutare al momento della determinazione dell’assegno; e non fa riferimento al diritto di ricevere un assegno che consenta comunque un tenore di vita analogo al precedente. Ma è proprio questo il punto: se l’assegno divorzile deve essere negato al coniuge che può autonomamente provvedere a se stesso, che senso avrebbe stabilire che il tenore di vita precedente rileva “per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’a ss eg no ” (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso)? Dunque ben potrebbe il coniuge richiedente essere in grado di sostenersi e tuttavia chiedere un assegno, anche di importo significativo, il cui tetto massimo sarebbe fissato dal tenore di vita precedente. Ma poi la Cassazione trascura una circostanza fondamentale. Secondo l’art. 5, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, deve tenersi conto “del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”. Si allude alle frequenti situazioni in cui uno dei coniugi (in genere il marito) inizia la sua attività lavorativa con il contributo economico e materiale della moglie.
IMPRESE COSTITUITE con il patrimonio di uno dei coniugi; rinuncia di questi a lavorare nell’impresa familiare o a svolgere altra autonoma attività per le necessità della famiglia (bambini piccoli, malati, numerosi): queste sono le situazioni per le quali è stato scritto l’art. 5. È evidente che il tenore di vita familiare conquistato dalla coppia dipende da questi contributi economici e familiari (che hanno comunque un rilevante valore economico). E tutto questo non dovrebbe essere riconosciuto al momento dello scioglimento del matrimonio solo perché il coniuge che richiede l’assegno ha comunque la capacità di provvedere a sé stesso?
Come dicevo, la 11504 è sbagliata: può darsi che le situazioni di fatto rendano giustificate decisioni del genere (la signora Lario ha contribuito all’ascesa economica di Berlusconi? Mmhh). Allora si motivi con riferimento ai fatti. Un principio di diritto così “rivoluzionario” potrebbe finire in un museo degli orrori.