“L’Italia tradisce la promessa di redistribuire”
Enrico Giovannini “Le risorse ci sono”, dice l’ex ministro che guida l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile
Prima
presidente dell’Istat, poi ministro del Lavoro nel governo Letta: oggi l’economista Enrico Giovannini è portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, un network di 160 associazioni che ieri ha iniziato il suo primo festival, con 200 eventi in giro per l’Italia che si concluderanno il 7 giugno. Professor Giovannini, cos’è lo sviluppo sostenibile? Uno sviluppo che realizza i bisogni della generazione attuale consentendo alle generazioni successive di fare altrettanto. Con l’accordo del settembre 2015 a New York questo concetto è stato tradotto in 17 obiettivi, 169 target precisi.
È necessaria la crescita economica per raggiungere questi obiettivi?
Serve una crescita condivisa, inclusiva, che distribuisce molto meglio i benefici economici e sociali. Niente a che vedere con la decrescita felice.
Quindi le disuguaglianze sono un freno.
Lo slogan dell’agenda 2030, che l’Italia ha sottoscritto, è “nessuno venga lasciato ind ie tr o”. Le disuguaglianze sono il cuore del problema: nel reddito ma anche nell’istruzione, nella cultura, nell’opportunità di far partire una start up e di accesso al credito.
Nella prima giornata del festival avete discusso di “un reddito per tutti”. Quello dei Cinque Stelle? Neanche i Cinque Stelle propongono un reddito davvero per tutti. Bisogna concentrarlo sulle persone che hanno bisogno di un sostegno per ripartire.
Come si fa a evitare che diventi un sussidio?
Non focalizzandosi sulla parte monetaria. Servono servizi all’impiego di ottima qualità, come in Germania, accesso al credito per reinventarsi, e magari aprire una attività per conto proprio, un sistema scolastico in grado di farsi carico dei figli delle famiglie in difficoltà.
Non è solo un modo per evitare la povertà: pensiamo a un ragazzo che ha un lavoretto da 500 euro e un’idea notevole. Se non c’è un reddito che gli assicuri una vita dignitosa nel periodo in cui non ha lavoro, non mollerà mai il lavoretto per realizzare quello che vuole a meno che non abbia una famiglia che lo sostiene. Il governo Letta di cui era ministro aveva lanciato il Sia, il Sostegno all’inclusione attiva.
Avevamo trovato anche 300 milioni per farlo partire in tutto il Mezzogiorno, soldi tenuti in naftalina fino all’ottobre 2016 quando il governo ha esteso il Sia a tutto il territorio nazionale. Peccato che la scarsità dei fondi fa sì che si danno al massimo 80 euro a persona nel nucleo famigliare e questo non va bene. Se in due persone la soglia di povertà è di 1.000 euro e i due insieme mettono insieme 400 euro, il sostegno li porta a 560. Sono utili, ma sul piano psicologico e culturale non risolvono il problema.
La Commissione Ue ci chiede di reintrodurre la tassa sulla prima casa. È una misura che va nella direzione dello sviluppo sostenibile? Con l’obiettivo 10 target 1 l’Italia si è impegnata a favorire la crescita dei redditi del 40% più povero della popolazione. Quindi servono politiche redistributive. La Commissione da sempre ci dice di tassare le cose, di alleggerire il peso del fisco sul lavoro e anche di aumentare l’Iva e ridurre l’imposta sul reddito. Ci sono 15 miliardi di sussidi fiscali dannosi per l’ambiente che vanno progressivamente eliminati per investirli in tecnologia ed energia sostenibile. Volendo, di risorse da redistribuire ce ne sono tante.
Reddito di cittadinanza? Serve un sostegno per tutti, però non come sussidio ma come incentivo a ripartire