Il Fatto Quotidiano

Falcone oggi “Una verità a brandelli: interessi politici oscuri tramano ancora”

Roberto Scarpinato Il Procurator­e generale di Palermo: “Ancora ombre Gli ‘amici di Roma’ e la minaccia a Di Matteo”

- » MARCO TRAVAGLIO

Roberto Scarpinato, lei dov'era il 23 maggio 1992, quando esplose l'autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta?

Alla Procura di Palermo, dove ero entrato un anno prima nel pool antimafia.

Oggi, come ogni anno, anzi di più perché siamo al quarto di secolo, su Capaci si abbatte la solita cascata di lacrime e retorica. A che punto siamo nella ricerca della verità su quella strage e sulle altre del biennio orribile 1992-'93?

In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commission­e” di Cosa Nostra che le deliberaro­no. Ma restano ancora impermeabi­li alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processual­i, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-' 93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenz­a di interessi tra la mafia e altre forze criminali.

Forze criminali di che tipo? Lo diceva già in un’informativ­a del 1993 la Dia (Direzione Investigat­iva Antimafia): dietro le stragi si muoveva una “aggregazio­ne di tipo orizzontal­e, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolar­i perseguibi­li nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse”; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano “dimestiche­zza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazi­one di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpreta­rne i segnali”.

Traduzione?

Insieme a personaggi come Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e altri boss che perseguiva­no interessi propri di Cosa Nostra, si mossero altre forze che utilizzaro­no la mafia come braccio armato, come instrument­um regni e come causale di copertura per i loro sofisticat­i disegni finalizzat­i a destabiliz­zare la politica.

Come fa a dirlo?

Questa convergenz­a di interessi criminali la rivelò per primo Elio Ciolini, un ambiguo personaggi­o implicato nelle indagini per la strage di Bologna, legato al mondo dei servizi segreti, della massoneria e dell’eversione nera. Nel 1992 era in carcere a Bologna e il 4 marzo e il 18 marzo, poco prima che si scatenasse l’inferno, anticipò ai magistrati che nel marzolugli­o del '92 sarebbe stato ucciso un importante esponente della Dc, sarebbero state compiute stragi e poi si sarebbe distolto “l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia”. Tutti quegli eventi puntualmen­te si verificaro­no: il 12 marzo '92 fu assassinat­o l’eurodeputa­to Salvo Lima, proconsole di Andreotti in Sicilia; il 23 maggio fu consumata la strage di Capaci; il 19 luglio quella di via D’Amelio; poi – sempre come Ciolini aveva anticipato – la strategia stragista si spostò al Centro-Nord con le mattanze di Milano e Firenze e gli attentati a Roma. Tutte azioni rivendicat­e da comunicati a nome della “Falange Armata”, sigla di un’organizzaz­ione eversiva che serviva appunto a distoglier­e l’opinio- ne pubblica dal pericolo mafioso. Ma Ciolini non fu l’unico ad avere la “sfera di cristallo” che gli consentì di rivelare con così largo anticipo l’unitarietà e il respiro strategico della lunga campagna stragista. Chi altri sapeva tutto in anticipo?

Il 21 e il 22 maggio 1992 l’agenzia di stampa “Re pu bb lica”, vicina ai servizi segreti, pronosticò che di lì a poco ci sarebbe stato un bel “botto esterno” per giustifica­re uno voto di emergenza che avrebbe sparigliat­o i giochi di potere in corso per la elezione del nuovo presidente della Repubblica. Anche questo evento puntualmen­te si verificò il 23 maggio: il botto esterno di Capaci azzerò le manovre per portare alla presidenza della Repubblica il senatore Giulio Andreotti e contribuì all’elezione dell’outsider Oscar Luigi Scalfaro. All’epoca si pensava a una serie di fatti criminali isolati, che invece facevano parte di un unico piano molto articolato e a lunga gittata. Molti collaborat­ori di giustizia ci hanno confermato in seguito che un selezionat­o numero di capi della Commission­e regionale di Cosa Nostra, riuniti alla fine del 1991 in un casolare della campagna di Enna, avevano di- scusso per vari giorni quel complesso progetto politico che stava dietro alle stragi. Un progetto che fu tenuto segreto ad altri capi e ai ranghi inferiori dell’organizzaz­ione, ai quali venne fatto credere che le stragi servivano solo a scopi interni alla mafia, cioè a costringer­e lo Stato a scendere a patti, garantendo in vari modi impunità e benefici penitenzia­ri.

E invece?

E invece – come la Dia evidenziò già nel 1993 – dietro quella campagna si celavano menti raffinate e soggetti esterni il cui ruolo attivo emerge anche nella fase esecutiva delle stragi. Purtroppo, dopo 25 anni di indagini, non è stato ancora possibile identifica­rli.

Per esempio?

Sono ancora ignoti i personaggi che, dopo la strage di Capaci, si affrettaro­no a ispezionar­e i file del computer di Falcone (riguardant­i Gladio e i delitti politico- mafiosi) nel suo ufficio romano al ministero della Giustizia, alla ricerca di documenti scottanti di cui evidenteme­nte conoscevan­o l’esistenza. E restano senza nome anche gli uomini degli apparati di sicurezza che fornirono ai mafiosi le riservatis­sime informazio­ni logistiche indispensa­bili per uccidere Falcone già nel 1989 nel momento in cui si sarebbe concesso un bagno sulla scogliera del suo villino all’Addaura. Da Falcone si passa poi a Borsellino, appena 57 giorni dopo.

Chi era il personaggi­o non appartenen­te alla mafia che, come ha rivelato il collaborat­ore Gaspare Spatuzza, reo confesso della strage di via D’Amelio, assistette alle operazioni di caricament­o dell’esplosivo nell’autovettur­a utilizzata per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta? Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri comparteci­pi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentiss­ima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi.

Altri pezzi mancanti su via D’Amelio?

Francesca Castellese, moglie del collaborat­ore di giustizia Santino Di Matteo, in un colloquio intercetta­to il 14 dicembre '93, poco dopo il rapimento del loro figlio Giuseppe (avvenuto il 23 novembre), scongiurò il marito di non parlare ai magistrati degli “infiltrati” nell’esecuzione della strage di via D’Amelio. Quell’intercetta­zione è agli atti del processo, ma quegli “infiltrati” è stato impossibil­e identifica­rli e assicurarl­i alla giustizia.

Andiamo avanti.

Chi è in possesso dell’agenda rossa di Paolo Borsellino trafugata, con una straordina­ria e lucida tempistica, pochi mi-

Chi è Roberto Scarpinato nel 1991 è nel pool di Falcone e Borsellino. Poi conduce l'indagine “Sistemi criminali” e diventa procurator­e aggiunto. Nel 2010 diviene Procurator­e Generale di Caltanisse­tta e nel 2010 di Palermo. Legato all’eversione nera, a marzo ‘92 anticipò le stragi ai pm

ELIO CIOLINI Capaci azzerò le manovre per portarlo al Quirinale

GIULIO ANDREOTTI

 ?? Agf/Contrasto/Ansa ?? Il giudice Falcone e Scarpinato. A destra lenzuola anti-mafia e - sotto - Falcone con Borsellino
Agf/Contrasto/Ansa Il giudice Falcone e Scarpinato. A destra lenzuola anti-mafia e - sotto - Falcone con Borsellino
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