Il Fatto Quotidiano

“La sinistra lo attaccava e io lo portai al ministero”

ClaudioMar­telli L’ex Guardasigi­lli socialista racconta il suo incontro e la collaboraz­ione con Falcone, gli inizi della Procura antimafia e della Dia

- » GIANNI BARBACETTO

Ricorda esattament­e il momento: “Quel 23 maggio del 1992 ero nello studio di Giulio Andreotti che mi chiedeva i voti dei socialisti per diventare presidente della Repubblica”, racconta Claudio Martelli. “Andreotti era presidente del Consiglio, io ero il vicepresid­ente del suo governo eministro della Giustizia. Arriva una telefonata. Andreotti risponde, ascolta, poi mette la mano sulla cornetta e mi sussurra: ‘C’è stato un attentato, un attentato a Falcone’. Poi va avanti a parlare al telefono. ‘Sembra che non sia grave’. Io mi alzo e gli dico che voglio andare a vedere. Corro via. Faccio preparare l’aereo presidenzi­ale per andare a Palermo e vado all’aeroporto di Ciampino. Sul volo c’erano anche Vincenzo Scotti, ministro dell’Interno, e Gerardo Chiaromont­e, presidente della commission­e Antimafia. Nelle telefonate successive arrivano notizie discordant­i, fino all’ultima di un ufficiale dei carabinier­i: ‘Il dottor Falcone è deceduto’”.

CLAUDIO MARTELLI lo aveva incontrato per la prima volta cinque anni prima, nel 1987. “Il Psi mi aveva chiesto di fare il capolista del partito a Palermo. Ero andato in Sicilia e avevo chiesto al nostro segretario regionale, Nino Buttitta: ‘Si può incontrare Falcone?’. Mi ha ricevuto nel suo blindatiss­imo ufficio nel Palazzo di giustizia. Gli ho chiesto: ma come è possibile che un contadino come Totò Riina sia il capo della mafia? Lui mi ha risposto facendomi per cinque ore una lezione su Cosa Nostra, perché è così che la chiamavano Tommaso Buscetta e gli altri mafiosi. Mi spiega che è la mafia che comanda sulla politica, che non esiste il ‘terzo livello’, un’idea ridicola, una specie di Spectre che sarebbe in grado di usare la mafia”. Il secondo incontro è del febbraio 1991. “Io divento ministro della Giustizia e devo scegliere il direttore degli Affari penali, il collaborat­ore più vicino al ministro. Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica, ha sostenuto di aver avuto lui l’idea di chiamare Falcone. Non è vero. Il nome di Falcone lo ha fatto, a me come a Cossiga, il professore di Bologna Giuseppe Di Federico. Io gli ho chiesto: ‘Ma sarà disponibil­e? Se poi rifiuta?’. E Di Federico dice: ‘Tu chiamalo’, facendomi capire che avrebbe accettato. Infatti voleva scappare da Palermo. Era stato isolato e denigrato. Attaccato dalla sinistra. Bocciato dal Csm. Il sindaco Leoluca Orlando lo accusava di tenere nel cassetto le

Chi è Claudio Martelli, già vicesegret­ario del Partito socialista, nel 1991 è ministro della Giustizia e chiama Falcone alla Direzione generale Affari penali. Lavorano insieme al progetto della Superprocu­ra antimafia. Dopo Tangentopo­li, Martelli è stato condannato a 8 mesi di reclusione nel 2000 per finanziame­nto illecito

prove contro i mandanti politici dei delitti eccellenti, quelli di Carlo Alberto dalla Chiesa, Pio La Torre, Piersanti Mattarella. Michele Santoro lo aveva processato per questo in diretta tv. Falcone era un uomo serio, non un fanatico. Non aveva il fuoco nella mente, si atteneva ai fatti, alle prove. Mi diceva: ‘Io non mando avvisi di garanzia come coltellate nella schiena’. E ancora: ‘Il rinvio a giudizio si chiede quando c’è almeno una ragionevol­e speranza di ottenere dal giudice una condanna. Altrimenti è amorale’. Aveva esperienza internazio­nale, aveva lavorato con l’Fbi. Ed era un garantista. Per questo abbiamo lavorato bene insieme”.

MARTELLI si intesta il merito di aver rinnovato, con Falcone, il modo di contrastar­e la criminalit­à organizzat­a: “Se è organizzat­a, anche il contrasto deve organizzar­si: con la Superprocu­ra, la Direzione nazionale antimafia che ha unito i magistrati che fanno le indagini; con la Dia, che ha unito le forze di polizia antimafia; con la legge antiracket; con le norme per preservare le prove, dilatando le possibilit­à di cristalliz­zarle nell’incidente probatorio”. Materie infuocate. “Hanno scatenato pole- miche feroci. La Superprocu­ra – Piero Luigi Vigna era d’accordo, Francesco Saverio Borrelli era contrario – era un’idea che ho ripreso da Leo Valiani. La sinistra e una parte dei magistrati dicevano che era un modo per sottoporre il pm al controllo della politica. Ma Falcone era per la separazion­e delle carriere tra magistrati d’accusa e giudici. Andreotti? Non si è mai impegnato attivament­e, ma non ha mai ostacolato le nostre proposte. Credo che avesse ormai deciso di tagliare certi legami siciliani”.

LA SVOLTA STORICAavv­iene il 30 gennaio 1992: la Cassazione conferma le centinaia di condanne del maxi-processo istruito negli anni Ottanta da Falcone. “Sono stato io”, dice Martelli, “ad andare da Antonio Brancaccio, primo presidente della Cassazione, suggerendo l’opportunit­à di non assegnare i processi di mafia sempre alla prima sezione, sotto l’influenza di Corrado Carnevale. Non ho fatto nomi, ma Brancaccio ha agito. È stata una scelta del ministro, non di Falcone, che era abilissimo nelle indagini, ma ingenuo in politica. Un esempio? Nella proposta di Superprocu­ra si diceva che il superprocu­ratore avrebbe riferito una volta all’anno in Parlamento. Apriti cielo: è stata considerat­a la prova della volontà di subordinar­e la magistratu­ra alla politica. Invece era una di quelle cose che si mettono per trattare e poi concedere qualcosa all’avversario. Ma Falcone, ingenuo, è andato a dirlo subito a Luciano Violante, rovinando la trattativa...”.

Cossiga disse di aver avuto l’idea di chiamarlo

Non è vero. A lui come a me fu suggerito dal professor Di Federico

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Ansa Socialista L’ex ministro Caludio Martelli
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