“Mio fratello Rocco è morto da eroe, in 25 anni neanche una telefonata”
Il giovane agente pugliese era nella seconda Croma con Vito Schifani
“Quando guidava lui, il giudice Falcone si sentiva così al sicuro che si rilassava e si addormentava. Era nato per fare l’agente di scorta”. Rocco Dicillo di Triggiano (Bari) era nella scorta del giudice Giovanni Falcone. Morì a 30 anni nella strage di Capaci. L’auto su cui viaggiava, la prima delle tre Fiat Croma che riportavano il magistrato a Palermo, era guidata da Vito Schifani. Accanto a lui Antonio Montinaro. L’auto fu ritrovata a più di dieci metri dal luogo dell’esplosione. Michele Dicillo, come seppe della morte di suo fratello? Quel 23 maggio fu un giorno terribile. Nel ’ 92 non c’era l’immediatezza delle notizie, non avevamo cellulari, internet. Lo venni a sapere dopo ore. Ricordo che era un sabato pomeriggio. All’epoca ero studente di medicina, facevo pratica in un studio di Trig- giano. Dopo il lavoro andai a prendere la mia fidanzata. Vidi subito che era molto preoccupata. Mi disse che mio fratello aveva avuto un incidente, ma fu molto vaga. Quando arrivai sotto casa e vidi la strada piena di volanti della polizia, capii che era successo qualcosa di grave. Corsi dai miei genitori e in serata partimmo per Palermo.
A Palermo cosa accadde? Ci accolsero istituzioni e forze dell’ordine nessuna assistenza psicologica. Andammo all’obitorio per il riconoscimento. Il corpo di mio fratello fu ricomposto, ma io non lo vidi. Entrò solo mio padre. Ricordo solo dolore e confusione.
Sapeva che Rocco faceva un lavoro molto pericoloso? Tutta la famiglia era preoccupata. Mia madre lo implorava di cambiare settore, ma niente. Rocco mi raccontò che prima di accettare il giudice Falcone gli chiese: ‘Ma lei è proprio sicuro di voler svolgere questo incarico?’. Rispose di sì, senza esitare.
Chi era suo fratello?
Un ragazzo molto coraggioso, onesto e tenace. Aveva occhi azzurri bellissimi, a volte mi faceva impressione guardarli.
Un eroe?
Lui non si sarebbe definito così. Amava il suo lavoro più di ogni altra cosa. Viveva per mettere in pratica l’onestà. Era perito chimico, avrebbe anche potuto lavorare alla Scientifica, invece decise di diventare agente di scorta.
Perché?
Per lui sentirsi parte dello Stato significava proteggere uomini come Falcone, unica speranza per le persone oneste. Si rendeva conto di scortare uno che già allora veniva definito ‘un morto che cammina’, ma lui era così: al di là della paura.
Al ritorno come è andata? A Triggiano non si trovava un loculo in cui seppellirlo. Ci volle un intervento del prefetto. Poi gli è stata intitolata una strada secondaria della città, mai nessuna iniziativa a suo nome. Se è vero che era un eroe, un agente di Falcone, avrebbero dovuto intitolargli il corso principale.
E i politici?
In 25 anni mai una telefonata, una lettera. Eppure di anniversari ce ne sono stati tanti. Ma ciò che fa più male è che dopo tutto questo tempo e i processi non conosciamo ancora la verità.
A Triggiano (Bari) non c’era neanche un loculo per seppellirlo, c’è voluto l’intervento del prefetto