“Happy end”, coreografia di un’agonia
Una
pistola per Jean-Louis Trintignant. Costretto in sedia a rotelle dopo un incidente volontario, il vecchio patriarca vuol farla finita ma non sa come procurarsi un’arma. Così prova a chiederla al fidato barbiere che da decenni viene a fargli i capelli a domicilio. E ancor prima, forse, la chiede con piglio padronale a un gruppo di migranti africani che incrocia nelle strade di Calais. Ma chissà: siamo in Happy Enddi Michael Haneke, maestro di crudeltà e misteri, non sentiamo il dialogo. Sappiamo solo che in quella famiglia alto borghese le pulsioni di morte dilagano e investono almeno tre generazioni.
C’è chi digita compulsive chat sadomaso, chi tiene glaciali videodiari in cui inchioda la mamma depressa ai suoi rituali quotidiani (e magari la “aiuta” con un’overdose di psicofarmaci), chi ha così poca autostima da farsi pestare a sangue senza reagire. Mentre la capoclan Isabelle Huppert tenta di salvare la grande azienda di famiglia ( lavori pubblici, guarda un po’) anche se l’impresa è disperata. Le menti vacillano, gli eredi tentennano, i cantieri crollano, letteralmente, in una scena di ipnotica e terribile lentezza che è anche metafora portante di questo film fin troppo esplicito - è la Francia, anzi l’Europa che cade a pezzi – ma impeccabile e implacabile. La coreografia di un’agonia.
CHI CONOSCEl’autore austriaco di Amour, Il nastro bianco, Niente da nascondere, La pianista, ritroverà tutti i temi e i trucchi imparabili di questo anatomista della violenza. Il gioco sul punto di vista (chi guarda, chi spia?), il nichilismo delle nuove tecnologie, il susseguirsi di inganni e manipolazioni che moltiplica caos e dolore. Con una novità agghiacciante: quel ponte fra generazioni che salda la voglia di morire del nonno con la disperazione precoce della nipotina. I bambini terribili del Na- stro bianco portavano in sé i germi del nazismo, questa 13enne borderline, che guarda (e domina) il presente attraverso schermi e display, è “l’istantanea di un Mondo che ci ostiniamo a non voler vedere”, dice Haneke. Anche se non si esclude il più sarcastico degli Happy end...
L’ADOLESCENTE minaccioso, il piccolo terrorizzato e vendicativo, il minore vittima e insieme portatore di cambiamenti violenti, ricorre del resto quest’anno come un segnale sinistro e perentorio. Come confermava The Killing of a Sacred Deer del talentuoso greco Yorgos Lanthimos, alla seconda prova internazionale dopo The Lobster. Chi è quel 16enne affettato e inquietante che il cardiochirurgo Colin Farrell tratta come un figlio, anche se di figli ne ha già due? Perché quell’adolescente senza padre ha tante attenzioni per quel medico gentile che lo incontra di nascosto? E cosa ci sarà di vero nelle minacce improvvise che il piccolo Martin rivolge alla famiglia del chirurgo, compresa la bella moglie Nicole Kidman?
Metà thriller-horror all’americana, come l’ambientazione; metà film d’autore europeo, con interni scintillanti, inquadrature stranianti, ambiguità sparse a piene mani (solo la musica “spara” senza vergogna), il nuovo Lanthimos però gioca con regole meno disturbanti del solito. Non basta aprire con il primissimo piano di un cuore pulsante, o accennare alle stravaganze sessuali del chirurgo per dare profondità simbolica a questa ennesima fiaba nera sulla famiglia come incubatore di patologie. Cast e confezione sono concepiti per il successo internazionale. Ma il rischio è il solito. La banalizzazione.