Il Fatto Quotidiano

“Happy end”, coreografi­a di un’agonia

- » FABIO FERZETTI Cannes

Una

pistola per Jean-Louis Trintignan­t. Costretto in sedia a rotelle dopo un incidente volontario, il vecchio patriarca vuol farla finita ma non sa come procurarsi un’arma. Così prova a chiederla al fidato barbiere che da decenni viene a fargli i capelli a domicilio. E ancor prima, forse, la chiede con piglio padronale a un gruppo di migranti africani che incrocia nelle strade di Calais. Ma chissà: siamo in Happy Enddi Michael Haneke, maestro di crudeltà e misteri, non sentiamo il dialogo. Sappiamo solo che in quella famiglia alto borghese le pulsioni di morte dilagano e investono almeno tre generazion­i.

C’è chi digita compulsive chat sadomaso, chi tiene glaciali videodiari in cui inchioda la mamma depressa ai suoi rituali quotidiani (e magari la “aiuta” con un’overdose di psicofarma­ci), chi ha così poca autostima da farsi pestare a sangue senza reagire. Mentre la capoclan Isabelle Huppert tenta di salvare la grande azienda di famiglia ( lavori pubblici, guarda un po’) anche se l’impresa è disperata. Le menti vacillano, gli eredi tentennano, i cantieri crollano, letteralme­nte, in una scena di ipnotica e terribile lentezza che è anche metafora portante di questo film fin troppo esplicito - è la Francia, anzi l’Europa che cade a pezzi – ma impeccabil­e e implacabil­e. La coreografi­a di un’agonia.

CHI CONOSCEl’autore austriaco di Amour, Il nastro bianco, Niente da nascondere, La pianista, ritroverà tutti i temi e i trucchi imparabili di questo anatomista della violenza. Il gioco sul punto di vista (chi guarda, chi spia?), il nichilismo delle nuove tecnologie, il susseguirs­i di inganni e manipolazi­oni che moltiplica caos e dolore. Con una novità agghiaccia­nte: quel ponte fra generazion­i che salda la voglia di morire del nonno con la disperazio­ne precoce della nipotina. I bambini terribili del Na- stro bianco portavano in sé i germi del nazismo, questa 13enne borderline, che guarda (e domina) il presente attraverso schermi e display, è “l’istantanea di un Mondo che ci ostiniamo a non voler vedere”, dice Haneke. Anche se non si esclude il più sarcastico degli Happy end...

L’ADOLESCENT­E minaccioso, il piccolo terrorizza­to e vendicativ­o, il minore vittima e insieme portatore di cambiament­i violenti, ricorre del resto quest’anno come un segnale sinistro e perentorio. Come confermava The Killing of a Sacred Deer del talentuoso greco Yorgos Lanthimos, alla seconda prova internazio­nale dopo The Lobster. Chi è quel 16enne affettato e inquietant­e che il cardiochir­urgo Colin Farrell tratta come un figlio, anche se di figli ne ha già due? Perché quell’adolescent­e senza padre ha tante attenzioni per quel medico gentile che lo incontra di nascosto? E cosa ci sarà di vero nelle minacce improvvise che il piccolo Martin rivolge alla famiglia del chirurgo, compresa la bella moglie Nicole Kidman?

Metà thriller-horror all’americana, come l’ambientazi­one; metà film d’autore europeo, con interni scintillan­ti, inquadratu­re stranianti, ambiguità sparse a piene mani (solo la musica “spara” senza vergogna), il nuovo Lanthimos però gioca con regole meno disturbant­i del solito. Non basta aprire con il primissimo piano di un cuore pulsante, o accennare alle stravaganz­e sessuali del chirurgo per dare profondità simbolica a questa ennesima fiaba nera sulla famiglia come incubatore di patologie. Cast e confezione sono concepiti per il successo internazio­nale. Ma il rischio è il solito. La banalizzaz­ione.

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Ansa Le generazion­i Un nonno e le donne della sua famiglia nel film di Haneke

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