Il Fatto Quotidiano

Tutti ai piedi bianconeri, ma sono (realmente) i più forti della storia?

- » ROBERTO BECCANTINI

Dove collocare questa Juventus cannibale che ha portato a sei il record nazionale di scudetti consecutiv­i? In alto, molto in alto. Ma dove, esattament­e? Paragonare squadre e giocatori di epoche differenti titilla il tifoso e spaventa l’esperto. Il ponte che unisce l’epoca di Antonio Conte alla saga di Massimilia­no Allegri è il muro della difesa, la meno battuta. Sempre e comunque.

Tre scudetti, Conte; tre scudetti e due finali di Champions, Allegri: la prima persa contro i marziani del Barcellona e la seconda da contendere al Real di un altro marziano, Cristiano Ronaldo. L’Europa è bilancia cruciale e neutrale: pesa coloro che vi salgono al netto delle coccole domestiche. Ecco perché siamo a un pelo dall’Inter del triplete, ma non ancora sullo stesso piano. È curioso come, a livello tattico, l’attuale mister si sia ispirato proprio a José Mourinho per rinfrescar­e la manovra. Il suo Samuel Eto’o si chiama Mario Mandzukic, un centravant­i vecchio stile costretto a inventarsi sherpa laggiù, all’estrema sinistra. Come il bardo del Camerun. Portiere escluso, dal momento che Gigi Buffon è unico, la squadra esteticame­nte più intrigante rimane il Milan di Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Più ancora della versione di Carlo Ancelotti, fondata sull’albero di Natale (4-3-2-1). A Sacchi si rimprovera di aver vinto un campionato in quattro anni, come se le due Coppe dei Campioni e le due Coppe Interconti­nentali fossero ordinaria zavorra. Calma. Quel Milan lì, il Milan di Marco Van Basten, Ruud Gullit e Frank Rijkaard, di Franco Baresi, Paolo Maldini e Roberto Donadoni, cambiò la mentalità del nostro calcio. La Juventus moderna, in compenso, ne ha aggiornato i numeri, non l’essenza.

CAPELLO RACCOLSE il testimone e attenuò la pressione fusignanis­ta. Quattro scudetti e tre finali di Champions, due perse e una vinta: contro il Barcellona di Johan Cruijff, però, e per 4-0. Quantità e qualità. A un Van Basten al quale le caviglie malmesse e mal operate avevano inflitto il calvario di un crepuscolo triste e anticipato, subentraro­no il genio di Dejan Savicevic e la rotonda duttilità di Daniele Massaro, uno che fece il percorso inverso di Eto’o e Mandzukic: nato centrocamp­ista, diventò attaccante. E poi, nel misurare “questa” Juventus, Sempre una gran Signora, come recita il titolo del libro che Giampiero Mughini le ha dedicato, senza sottrarsi a quel rispetto per gli avversari che dà forza a ogni forza, non si può, appunto, non recuperare le fotografie del passato. La Juventus di ferro e tutta italiana che Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni portarono, giusto 40 anni fa, alla conquista del primo trofeo europeo, la Coppa Uefa. O la Juventus dei sei campioni del mondo – Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli e Paolo Rossi – più Roberto Bettega, più il miglior francese, Michel Platini, e il miglior polacco, Zbigniew Boniek. Tradì ad Atene, con l’Amburgo, e si prese la Coppa dei Campioni nella tragica notte dell’Heysel. Occhio, inoltre, alle Juventus di Marcello Lippi, non meno feroci e smontabili, da Gianluca Vialli a Pippo Inzaghi, da Roberto Baggio ad Alessandro Del Piero, fino alla scatola nera di Zinedine Zidane, “un elefante col cervello di una ballerina”, secondo la definizion­e di Jorge Valdano. Allegri è un gestore di ruoli e di lampi. Adesca i rivali, li rosola a fuoco lento. Lippi era più spiccio, più tuono. Le sue Juventus erano spavalde ed eccessive, quasi drastiche, come conferma la cesura tra Zizou e Pavel Nedved, così lontani nelle visioni e nelle missioni.

Senza la guerra e la tragedia di Superga, a sei scudetti sarebbe arrivato tranquilla­mente il Grande Torino di Valentino Mazzola, garantisce Boni-

DIREZIONE CARDIFF

Il Real Madrid ha più storia e più talento, e ha alzato undici Coppe “con le grandi orecchie”. Ma gli spagnoli non sono favoriti

perti. E nell’Europa dei vip, solo il Lione ha fatto meglio: sette. Non il Real Madrid dei tempi d’oro, e neppure il Bayern, fermi a cinque. In Inghilterr­a, dal Liverpool al Manchester United nessuno si è spinto oltre i tre. E gli “altri”? Platini doveva misurarsi con Maradona e Zico, tanto per rendere l’idea. La crisi di Inter e Milan ha agevolato la presa della Bastiglia, e il suo controllo metodico, spietato, infinito. Voce dal fondo: per tacere del potere dei soldi. Vero. Ma com’era il fatturato juventino una Calciopoli fa? Di una magrezza che rassicurav­a.

L’ORDALIA DI CARDIFF cade a fagiolo. La Juventus è più squadra; il Real ha più storia e più talento. Il Real che ne ha alzate undici, di Champions, contro la Juventus che per ben sei volte su otto è uscita sconfitta dall’ultimo atto. I paragoni si leccano i baffi.

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