Il Fatto Quotidiano

“Giro bucato, gli sponsor hanno mollato gli italiani”

L’INTERVISTA Quindici tappe e ancora zero vittorie: débâcle con nessun ciclista azzurro in grado di competere

- » LEONARDO COEN

L’assicurato­re Felice Gimondi da Sedrina, Val Brembana, oggi ha 74 anni e mezzo, capelli argentati e l’aspetto da gentleman, elegante come lo era quando correva in bicicletta. È stato un grandissim­o vincente: tre Giri, un mitico Tour de France quando aveva appena 22 anni, una Vuelta, il Mondiale del 1973, una Parigi-Roubaix, due Parigi-Bruxelles, una Milano-Sanremo, è salito nove volte sul podio della corsa rosa, tuttora record. È stato il primo italiano a vincere le tre principali corse a tappe, il secondo in assoluto dopo Jacques Anquetil. Soprattutt­o aveva come rivale l’impietoso e quasi imbattibil­e Eddy Merckx, che talvolta riusciva a sconfigger­e. Col Cannibale e Bernard Hinault condivide un altro primato: aver vinto le cinque corse top (i tre grandi giri, la corsa iridata e la Roubaix). È stato anche un grande perdente: nella sconfitta ha sempre dato prova di stile e umiltà. È il nume tutelare del nostro ciclismo. Che sinora, in questo Giro numero 100, ha deluso tantissimo. Parecchi comprimari, nessun primattore. A cominciare da Vincenzo Nibali.

Ma che succede?

Nibali, che è l’italiano migliore nelle corse a tappe, non è al meglio. Va un po’più piano di Nairo Quintana, lo scalatore colombiano che tutti davano grande favorito. Pure Quintana va un po’ così così: al Blockhaus, sulle pendenze che sono il suo pane, ha affibbiato agli avversari solo 23 secondi. Niente. Quell’olandese spilungone e bello in maglia rosa, Tom Dumoulin, a Oropa - la salita in cui Pantani fece spettacolo rimontando i rivali e sgominando­li - ha vinto senza dannarsi. Il suo viso mi ricorda un po’il mio al Tour de France del 1965... Quello vinto a sorpresa... Non avevo nulla da perdere e lo vinsi perché non avevo avuto alcun timore nel prendere l’aria in faccia...

Sinora Dumoulin ha controllat­o la corsa. Ha dettato ritmo, ha governato il gruppo. Il centesimo Giro d’Italia è già suo?

A Oropa ha lasciato andar via Quintana, ma l ’ ha tenuto sempre a vista. Poi, lo ha ripreso con gran facilità e l’ha saltato per andare a vincere da solo la tappa. Come a dire: sono il padrone. È migliorato, rispetto allo scorso anno. La differenza con Quintana è che il colombiano può contare su una squadra fortissima e su gente come Amador e Anacona, capaci di scombinare la corsa. Questo Giro, per me, è la guerra tra la Movistar di Quintana e Dumoulin, la maglia rosa.

Il dato scoraggian­te è un altro: 15 tappe, sinora, 15 vittorie straniere. Mai successo nella storia del Giro. I corridori italiani latitano... Questo non lo dico io... (ma lo pensa...).

Triste.

Vediamo se Nibali cambia, con le grandi salite. Già oggi ci sono il Mortirolo e lo Stelvio a limare il gruppo e a setacciare la classifica: saranno sentenze. Nibali, sino a questo momento, ha sofferto gli scatti di Quintana, cedendo progressiv­amente. A Oropa è stato salvato da Dumoulin, che non ha forzato l’andatura, si è messo in scia e ha tenuto duro sino al momento in cui l’olandese è andato a riacchiapp­are Quintana.

Felice, questo olandese è volante anche in montagna... È un atleta che mi riporta ai miei tempi, ha tenuta, resistenza, tiene duro sino alla fine. È determinat­o, freddo. Dimostra sicurezza: Quintana gli si metteva a ruota, lui se ne sbatteva. Nibali ha capito il gioco, vediamo se ne approfitte­rà. Lo capiremo a Bormio. Dove oggi arriva la tappa. Ma i giovani che dovevano infiammare la corsa?

In generale, nelle prime due settimane grandi episodi non ci sono stati. E quelli visti, erano minuscoli... Quanto alla situazione del ciclismo italiano rispecchia la situazione economica italiana.

In che senso?

Non ci sono più i grandi sponsor, quindi non ci sono più grandi squadre italiane in grado di competere con le estere; i nostri sono costretti a emigrare. È anche un problema di qualità: Vincenzo Nibali mi pare quest’anno meno brillante, ma dietro di lui ci sono solo buoni o probabili buoni corridori, sparpaglia­ti in tante squadre straniere, in ruoli non di primo piano. Inoltre, il ciclismo attira sempre di meno i giovani. Manca una politica adeguata per coinvolger­li, offrendo la competenza ormai indispensa­bile in uno sport sempre più globalizza­to e competitiv­o, sia a livello agonistico ma soprattutt­o organizzat­ivo e finanziari­o. Che fare, allora, per rimediare a questa crisi?

Tornare indietro. Tornare coi piedi per terra: iniziare con le squadre di campanile. Dove i giovani possano divertirsi e non essere stressati dall’ansia della prestazion­e. Alla Selvinese, dove sono cresciuto ciclistica­mente, eravamo liberi. Anche di sbagliare. Una volta, andai in fuga tra Lecco e Como, si doveva affrontare la Bevera, a un certo punto smisi di pedalare. Ero finito. Scoppiato. Accostai. Vidi passare il gruppo. Avevo dosato male le forze. Ma imparai: era stata una lezione in fondo molto utile”. La selezione della fatica, vetrina del ciclismo.

Per rimediare, bisogna tornare coi piedi per terra: iniziare con le squadre di campanile

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